Famiglie plurali: guida alla normativa e alla giurisprudenza

A cura di Joëlle Long, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino.

Nell’ordinamento italiano manca una definizione giuridica unitaria di ‘famiglia’, cioè del nucleo i cui componenti hanno diritto a un trattamento particolare (tendenzialmente premiale) poiché le relazioni interne al gruppo sono ritenute meritevoli di tutela per il loro rilievo sociale.

L’analisi del diritto positivo mostra in effetti che i modelli di famiglia delineati dal legislatore sono plurimi e variano in relazione al contesto di riferimento. Le coppie eterosessuali di conviventi more uxorio possono per esempio accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita (art. 5 legge 40/2004), ma sono escluse dall’adozione dei minorenni abbandonati (art. 6 legge n.184/1983)1. A seguito dell’introduzione delle cosiddette “unioni civili” (legge 20 maggio 2016 n.76, art. 1 c. 11 e ss.), le coppie dello stesso sesso possono godere di un trattamento simile a quello delle coppie coniugate nella relazione “orizzontale” tra i partner , ma non nei rapporti con la prole. Ai fini del ricongiungimento familiare sono considerati ‘familiari’ anche i figli minori del coniuge e i minori sotto tutela (art. 29 TU imm.). Una vecchia norma del codice civile, inoltre, include nella nozione di ‘famiglia’ ai fini dell’individuazione del contenuto del diritto reale di abitazione i prestatori di lavoro domestico conviventi con la famiglia, per esempio colf, tata, badante… (art. 1023 cod. civ.). Infine, nella nozione di ‘famiglia anagrafica’ rilevante per la determinazione della situazione economica di riferimento per l’accesso e la partecipazione ai costi degli interventi e dei servizi sociali (es. asili nido, assegnazione di una casa popolare) sono ricomprese tutte le persone che hanno la stessa residenza anagrafica e sono legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o anche solo da ‘vincoli affettivi’, autocertificati dagli interessati (art. 4 del DPR n. 223/89)2.

Con riferimento specifico alla relazione di coppia, si è sostenuto che la lettera dell’art. 29 comma 1° Cost. («La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio») ancori in via esclusiva la nozione di famiglia all’istituto matrimoniale eterosessuale. Secondo l’interpretazione oggi prevalente, tuttavia, la norma ha l’unico effetto di impegnare il legislatore alla tutela dell’unione coniugale tra persone di sesso diverso, senza però precludere la possibilità di interventi legislativi a favore di altri nuclei sociali. Anzi: in forza dell’art. 2 Cost., lo Stato ha il dovere di attivarsi per proteggere i diritti individuali della persona all’interno delle ‘formazioni sociali’, e quindi anche della ‘famiglia’ così come l’individuo sceglie di viverla. In quest’ottica, come già accennato, il legislatore ha riconosciuto alle coppie dello stesso sesso il diritto di formalizzare la loro relazione mediante l’unione civile con conseguenze simili alla celebrazione del matrimonio, pur evitando di qualificare esplicitamente tale unione come “famiglia” (l’art. 1 c. 1 della legge 20 maggio 2016 n.76 la definisce infatti «specifica  formazione  sociale  ai  sensi  degli articoli 2  e  3  della  Costituzione»).Parla invece esplicitamente di vita familiare tra i partner dello stesso sesso la Corte di Cassazione, secondo cui «I componenti della coppia omosessuale… quali titolari del diritto alla ‘vita familiare’ e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche … possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di ‘specifiche situazioni’, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» (Cass. 4184/2012)4.

Anche per quanto concerne la relazione verticale tra il minorenne e il genitore, la situazione è complessa ed incerta. La giurisprudenza è pacifica nell’affermare che, in forza del principio del migliore interesse del minore, contenuto in nuce nell’art.31 Cost. e poi canonizzato nell’art.3 Conv. ONU dir. infanzia, la condizione di omosessualità non esclude di per sé l’idoneità della persona a svolgere funzioni genitoriali (cfr. in materia di affidamento e diritto di visita a seguito della scissione della coppia genitoriale Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601; Trib. Genova, 30 ottobre 2013; Trib. Nicosia, ord. 14 dicembre 2010; Trib. Firenze, ord. 10 aprile 2009; Trib. Bologna, decr. 15 luglio 2008). Anzi, una coppia dello stesso sesso è stata ritenuta una preziosa risorsa per l’affidamento familiare di un minore (Trib. min. Palermo, 4 dicembre 2013). Tuttavia, come già accennato, le coppie dello stesso sesso, indifferentemente unite da unione civile o conviventi di fatto, sono escluse dall’adozione dei minori abbandonati e dalla procreazione medicalmente assistita. Malgrado ciò, parte della giurisprudenza di merito, oggi con l’autorevole avallo della Cassazione, ha riconosciuto la genitorialità della coppia dello stesso sesso che abbia perseguito un progetto procreativo comune utilizzando quale strumento  l’istituto dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lett. d legge n.184 del 1983, un tipo di adozione “minore” previsto dal legislatore in tutt’altre situazioni) (cfr. Trib. min. Roma, 30 luglio 2014,confermata da App. Roma, 23 dicembre 2015 e avallata dalla Cassazione con la sentenza n. 12962 del 22 giugno 2016; Trib. min. Roma 22 ottobre 2015 e Trib. min. Roma 23 dicembre 2015). Altri giudici hanno ammesso direttamente o la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero e che indicava i due partner  dello stesso sesso come genitori, conformemente al diritto locale (App. Torino, 29 ottobre 2014). Sempre il principio del migliore interesse del minore è stato poi invocato per garantire, dopo la rottura della relazione di coppia tra i genitori, la frequentazione tra una donna e i figli biologici della compagna che fino a quel momento erano stati cresciuti insieme dalle due donne (Trib. Palermo, 15 aprile 2015 e, sulla medesima vicenda, App. Palermo 31 agosto 2015 che solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 337bis cod. civ. nella parte in cui non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico). Proprio la frammentarietà e la disorganicità del diritto di origine nazionale impongono di prestare particolare attenzione al diritto internazionale, in particolare alla Conv. eur. dir. uomo, così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo5. Nel corso degli anni, i giudici di Strasburgo hanno infatti delineato con sufficiente precisione la ‘vita familiare’ meritevole di tutela ai sensi dell’art. 8 Conv., nonché individuato un livello minimo di tale tutela. Sebbene la Corte europea tenda a evitare dichiarazioni di principio adottando un approccio casistico e sebbene la mancanza di consensus tra i diversi ordinamenti sulle relazioni di coppia idonee a costituire ‘famiglia’ abbiano indotto per lungo tempo alla cautela, con preferenza per il rinvio agli ordinamenti nazionali, negli ultimi quindici anni i giudici di Strasburgo hanno progressivamente ridotto l’autonomia degli ordinamenti nazionali nel riconoscimento di modelli familiari ‘altri’ rispetto a quello tradizionale della coppia coniugata eterosessuale con figli biologici di entrambi i partner.

Per quanto concerne la relazione di coppia, le ragioni di tale percorso devono essere individuate nell’interpretazione evolutiva del divieto di discriminazioni di cui all’art. 14 CEDU, in particolare sotto il profilo dell’orientamento sessuale6, nonché nella progressiva diffusione tra gli Stati membri del Consiglio d’Europea del diritto delle coppie dello stesso sesso di formalizzare la loro relazione di coppia mediante matrimonio o unione civile (cfr. da ultimo “Oliari c. Italia del 21 luglio 2015” che condanna il nostro Paese per il diniego alle coppie dello stesso sesso della possibilità di formalizzare la loro relazione al fine di fruire di un regime sostanzialmente analogo a quello del matrimonio). Esemplari in questo senso sono le sentenze “Karner c. Austria” (24 luglio 2003) e “X e altri c. Austria” (19 febbraio 2013) che hanno condannato l’Austria per aver trattato in modo ingiustificatamente diverso coppie conviventi omo ed eterosessuali con riferimento rispettivamente alla successione nel contratto di locazione intestato al defunto e all’accesso all’adozione del figlio del partner. La celebre pronuncia “Schalk and Kopf c. Austria” (24 giugno 2010), invece, ha per la prima volta incluso la relazione omosessuale nella vita familiare di cui all’art. 8 Conv. («Data quest’evoluzione [sociale e giuridica] la Corte ritiene artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della vita familiare ai fini dell’articolo 8. Conseguentemente la relazione dei ricorrenti, una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione»).

In merito alla relazione verticale tra genitori e figli, il grimaldello per il riconoscimento di modelli familiari “nuovi” è quello, già illustrato con riferimento al diritto nazionale, del principio del migliore interesse del minore. Per esempio, nella controversa pronuncia “Paradiso e Campanelli c. Italia” (27 gennaio 2015) il nostro Paese è stato condannato dalla Corte di Strasburgo per l’allontanamento dalla coppia italiana committente del figlio avuto dalla stessa in Ucraina mediante il ricorso alla maternità surrogata (vietata in Italia) in considerazione del fatto che i ricorrenti erano stati giudicati genitori inidonei per il solo fatto di essersi procacciati il figlio all’estero in violazione delle norme interne sulla procreazione medicalmente assistita.

Infine, un contributo importante alla determinazione della nozione di famiglia viene dal diritto dell’Unione europea. La comune appartenenza all’Unione europea, infatti, impone di ripensare la nozione di ordine pubblico internazionale (che come noto vieta l’ingresso nello Stato del diritto straniero che rischi di produrre nell’ordinamento interno una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento), anche alla luce della comune appartenenza alla comunità internazionale e soprattutto all’UE che presuppone la comunanza di valori e dei principi fondamentali tra gli Stati membri. Così, la Cassazione, pur negando la trascrivibilità dei matrimoni same sex celebrati all’estero da cittadini italiani, esclude che possa essere invocato il limite dell’ordine pubblico «sia perché altrimenti si determinerebbero effetti palesemente discriminatori in base all’orientamento sessuale, sia perché disposizioni comunitarie ed interne vietano esplicitamente discriminazioni fondate su tale orientamento» (Cassaz. 4184/2012). Isolate pronunce di merito hanno invece ammesso la trascrizione8 o comunque il rilascio del permesso di soggiorno al coniuge dello stesso sesso9. Oltre a ciò, assume rilievo il progressivo riconoscimento, nell’ottica della libertà di circolazione delle persone all’interno dell’Unione (riconosciuta dall’ art. 29 Trattato UE e dagli artt.34 e 45 Carta di Nizza) e per evitare la formazione di situazioni giuridiche claudicanti (cioè produttive di effetti in un ordinamento, ma invalide in un altro), della libertà di circolazione degli status familiari e dunque di un diritto individuale al riconoscimento della posizione giuridica soggettiva acquisita in virtù dei rapporti familiari intrattenuti, pur nel rispetto della competenza dei singoli Stati a definire presupposti e contenuto delle modalità di formalizzazione delle relazioni familiari (cfr. il Reg. n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, ma anche la Direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione delle persone che include tra i familiari «il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante»7).

 

Note:
[1] Un’interessante ricognizione dei diritti dei conviventi etero ed omosessuali è contenuta nel Vademecum dei diritti dei conviventi del Comune di Milano, Milano, 2013.

[2] La disciplina del nuovo ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), peraltro, prevede che il nucleo familiare rilevante ai fini dell’ISEE possa variare considerando anche persone esterne alla famiglia anagrafica (il coniuge che non abbia la stessa residenza anagrafica, i figli della persona non autosufficiente anche se non convivano con la stessa, il genitore non convivente nel nucleo, non coniugato con l’altro genitore e che abbia riconosciuto il figlio), salvo il caso in cui i servizi sociali attestino che tali soggetti sono estranei in termini di rapporti affettivi ed economici (DPCM 5 dicembre 2013 n. 159).

[3] In senso sostanzialmente analogo si esprime Corte cost. 170/2014.

[4] Conforme Cass. civ. 8097/2015 che – pronunciandosi sulla stessa vicenda di Corte cost. 170/2014 – parla di «nucleo affettivo e familiare» (corsivo aggiunto) con riferimento a una coppia di donne, sposatesi prima che una delle due intraprendesse il percorso per la rettificazione del sesso da maschile a femminile, che chiedevano di rimanere coniugate, malgrado il divorzio loro imposto ex lege in conseguenza della rettificazione.

[5] Numerose altre fonti di origine extranazionale riconoscono agli individui «il diritto al rispetto della vita familiare»: l’art. 12 Dich. univ. dir. uomo; l’art. 17 Patto int. dir. civ. e pol.; l’art. 7 (che ricalca l’art. 8 CEDU) e l’art.33 (che protegge la famiglia «sul piano giuridico, economico e sociale») Carta di Nizza. Il particolare interesse per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è dato dell’efficace sistema di controllo e sanzione delle violazioni previsto dalla Convenzione stessa e, soprattutto, dal dinamismo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

[6] Secondo i giudici europei, le differenze motivate unicamente da considerazioni relative all’ orientamento sessuale sono inaccettabili e le differenze basate sull’orientamento sessuale devono essere giustificate da motivi impellenti o, altra formula utilizzata a volte, da «ragioni particolarmente solide e convincenti» in quanto il margine di apprezzamento degli Stati è limitato. Anche l’Unione europea è stata negli anni molto attiva sul fronte della lotta contro le discriminazioni sulla base del sesso, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (vd. da ultimo il cosiddetto “Rapporto Lunacek”, che delinea una tabella di marcia «contro l’omofobia e la discriminazione, legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere», sollecitando la Commissione a lavorare per «il riconoscimento reciproco degli effetti di tutti gli atti di stato civile nell’Unione europea, compresi i matrimoni, le unioni registrate e il riconoscimento giuridico del genere, al fine di ridurre gli ostacoli discriminatori di natura giuridica e amministrativa per i cittadini e le relative famiglie che esercitano il proprio diritto di libera circolazione»). L’impatto del suo contributo alla rimeditazione della nozione di famiglia è stato tuttavia a oggi assai più limitato di quello della Corte europea dei diritti dell’uomo.

[7] In senso analogo si esprime la Direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare il cui art. 4 rimette agli Stati membri di consentire il ricongiungimento anche al ‘familiare’ che sia «partner non coniugato… che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata… , o… legato… da una relazione formalmente registrata».

[8] Trib. Grosseto, ord. 3 aprile 2014.

[9] Trib. Pescara, ord. 15 gennaio 2013; Trib. Reggio Emilia, 13 febbraio 2012.

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