La Corte ha stabilito che nel caso in cui una persona, regolarmente coniugata, si sottoponga ad un intervento di rettificazione chirurgica e anagrafica del sesso, il matrimonio non può essere sciolto d’ufficio, se vi sia concorde volontà dei coniugi in questo senso. Infatti, sulla scia di quanto deciso dalla Corte costituzionale, nella pronuncia 170 del 2014, il deficit di tutela che deriverebbe dal repentino passaggio dallo status di coniugato ad una situazione priva di qualsiasi ancoraggio ad un sistema giuridico di protezione e garanzie di riconoscimento, è incompatibile con la Costituzione. Sebbene sia divenuto fra persone (divenute) dello stesso sesso, il matrimonio resta dunque valido, sino a quando il legislatore non introdurrà una legge che consenta di mantenere in vita l’unione come altra forma di convivenza registrata che tuteli diritti e obblighi dei membri della coppia. Al matrimonio divenuto same-sex è dunque apposta una “condizione temporale risolutiva” il cui limite temporale è costituito dall’approvazione di una regolamentazione sulle coppie fra persone dello stesso sesso.
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