Salute e benessere

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Le lotte per stare bene: dalla de-patologizzazione ad una sessualità consapevole e sicura

A cura di Aldo Morrone, Presidente Fondazione IME

Da sempre l’uomo ha cercato di sconfiggere le malattie e la morte e ogni secolo ha avuto l’illusione che fosse vicino il momento della loro sconfitta definitiva. La rivoluzione francese utilizzò le scienze e la medicina come sostituti della religione e quindi i medici e gli scienziati occuparono il posto dei preti e dei religiosi, in tal modo la società avrebbe recuperato la sua salute originaria. La malattia e la morte divennero così un problema pubblico e cessava di essere un fatto che riguardava solo la persona malata[1].

Oggi ci si è resi conto che la salute non può esaurirsi semplicemente nell’assenza di malattie, infatti viene definita nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia, inoltre la sua tutela, viene considerata un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano alle persone.

Questo principio assegna agli Stati e alle loro articolazioni compiti che vanno ben al di là della semplice gestione di un sistema sanitario. Essi dovrebbero farsi carico di individuare e cercare, tramite interventi legislativi e opportune alleanze, di modificare quei fattori che possono influire negativamente sulla salute degli individui e della collettività, promuovendo al contempo quelli favorevoli.

Si tratterebbe di indirizzare le politiche sanitarie nella direzione nella promozione di salute e prevenzione delle malattie, ma in ambito sanitario esiste un paradosso terribile, responsabile dell’inversione delle leggi del mercato tipica del settore: è l’offerta di servizi che genera la domanda di salute e non viceversa. Nel mondo della sanità si spinge a tradurre la domanda di salute dei cittadini in erogazione di prestazioni sanitarie all’infinito che non solo non garantiranno mai l’immortalità, ma non sono l’equivalente di una buona salute.

I cittadini sono diventati i protagonisti e i complici inconsapevoli di un sistema di consumismo sanitario che sottrae risorse alla rimozione degli ostacoli sociali e culturali al benessere, per indirizzarli a prestazioni inappropriate, frutto di una medicalizzazione della salute.

Quando la cura della salute, si trasforma in un prodotto industriale, allora il rischio di “creare nuove malattie” diventa molto alto. Se si riduce la capacità delle persone di far fronte alle situazioni della vitache possono comportare sofferenza o disagio, se “medicalizziamo” ogni apparente disturbo fisico o psichico, dalla timidezza alla diversità del proprio orientamento sessuale, allora non ci saranno mai ospedali in grado di accogliere tutte le persone “convinte” da una divulgazione maldestra, a farsi curare un’ansia di salute opportunamente indirizzata[2].

La definizione di salute proposta dall’ OMS è molto interessante e impegnativa; infatti la sua traduzione in termini operativi e soprattutto in azioni, ha sempre suscitato importanti riflessioni. Il carattere utopistico di tale definizione è molto chiaro e condivisibile in quanto descrive una situazione di completa soddisfazione e felicità che forse non può essere mai raggiunta, ma certamente può essere vissuta come obiettivo. Comunque costituisce un importante punto di riferimento verso il quale orientare i propri sforzi. La definizione dell’OMS, non appare inoltre realista, perché parte da una supposizione non completamente vera, cioè che sia possibile un’esistenza senza dolore e senza morte. Non scopre dentro di sé la componente della cronicità, della disabilità, degli inevitabili acciacchi, le debolezze, le infermità, l’agonia e il distacco finale, che caratterizzano l’essere umano. Inoltre occorre aggiungere che la salute non può essere considerato uno stato, ma piuttosto un processo permanente di ricerca di equilibrio dinamico di tutti i fattori che compongono la vita umana e la vita di tutti gli altri esseri viventi. Tutti questi fattori sono al servizio della persona perché abbia la forza di diventare sana, cioè autonoma, libera, aperta e creativa di fronte alle diverse situazioni che dovrà affrontare. Solo così potrà raggiungere il benessere individuale e comunitario.

Nel Glossario elaborato nel 1988 e pubblicato nel 1998, l’OMS definisce meglio la promozione della salute come “il processo che conferisce alle persone la capacità di aumentare e migliorare il controllo sulla propria salute” e specifica infatti che rappresenta un processo globale, sociale e politico, non comprende solo le azioni dirette a rinforzare le capacità degli individui, ma primariamente volta alle azioni che sono dirette a cambiare le condizioni sociali, economiche, ambientali, in modo tale che si riduca l’impatto sulla salute, pubblica e individuale, di tutto quanto è sfavorevole alla salute, e si incentivi quanto la incrementa.

Quando il raggiungimento della salute non coinvolge tutte le peculiarità della persona umana, la sua vita di relazioni, la sua sessualità, il proprio lavoro, la sua alimentazione e così via, si corre il rischio di medicalizzare la salute, impoverendola della sua complessità. Inoltre troppa medicina pare che faccia male alla salute. A oltre dieci anni dall’editoriale in cui chiedeva – provocatoriamente, all’epoca, e con il punto interrogativo – se non ci fosse un eccesso di medicalizzazione della vita quotidiana, il BMJ torna da tempo, sull’argomento con diversi editoriali in cui ogni dubbio è oramai scomparso, giacché gli eccessi, inutili e spesso perfino dannosi, sono sempre più numerosi. Oggi si parla di massiccia sovradiagnosi e dannosi eccessi terapeutici, in diversi settori della medicina e anche in ambito di salute mentale. Una volta che le persone vengono etichettate con una diagnosi, segue una cascata di conseguenze mediche, sociali ed economiche, alcune delle quali permanenti[3].

Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, raccolte nell’acronimo LGBT, hanno gli stessi diritti di tutela della salute e di benessere che si riconoscono ai soggetti che si adeguano alla norma eterosessuale.

Qualunque sia il proprio orientamento sessuale, l’identità sessuale e di genere, tutti dobbiamo aspirare al benessere personale e comunitario. Ciascuno di noi infatti, esprime il proprio genere nei diversi modi che possono essere più o meno accolti e compresi nelle culture o nelle aspettative culturali e sociali dei contesti storico-culturali in cui si vive. La forza di essere persona significa capacità di adattamento e d’integrazione delle situazioni più diverse, nelle quali si può avere la salute, la malattia, la sofferenza, il recupero, l’invecchiamento e il cammino più o meno sereno verso il grande passaggio della morte e del morire. La salute e il benessere dunque non sono né uno stato né un atto esistenziale, ma un atteggiamento nei confronti delle diverse situazioni che possono essere di malattia o sanità.

Essere, o meglio, diventare una persona umana, non è semplicemente correlato ad avere salute o essere in salute, ma alla capacità di saper affrontare nel modo migliore sia la malattia che la salute. Essere sano significa quindi dare e realizzare un senso della vita che inglobi la salute, la malattia e la morte. È evidente che l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono un elemento importante nella costruzione non solo della personalità, ma prima ancora della persona. Qualcuno potrebbe essere molto malato ed essere in salute perché in questa situazione di sofferenza cresce, si umanizza e riesce a dare un senso a tutto ciò che vive. La salute in altre parole non è l’assenza di disturbi, ma è la forza di vivere con questi disturbi. Salute è accogliere e amare la vita così come essa si presenta, allegra e laboriosa, sana e malata, limitata e aperta all’infinito, indipendentemente dal sesso biologico e dall’identità di genere. Ogni essere umano deve poter vivere e comunicare la propria espressione di genere all’interno dei diversi ambienti socio-culturali, con libertà e serenità, premesse indispensabili per una condizione di salute e benessere, in particolare in un contesto transculturale e multietnico, come appare oggi l’intera Europa. Inoltre la salute, come evidenziato dall’articolo 32 della Costituzione, ha una dimensione collettiva che vede la partecipazione piena di tutte le persone, con le loro scelte sessuali, culturali, le loro emozioni e i loro sentimenti. Una salute collettiva per cui occorre lottare contrastando tutte quelle condizioni economiche, culturali e discriminatorie che ne impediscano il pieno raggiungimento.

In passato molto spesso la propria espressione di genere non veniva sempre accettata, quando non veniva percepita compatibile con i diversi ruoli di genere imposti e attesi socialmente. Questo ha determinato spesso una grave sofferenza, incompatibile con il raggiungimento del benessere e della salute, patrimonio e diritto di ogni essere umano.

Altro elemento di sofferenza si determina quando è presente una differenza tra sesso biologico e identità di genere, cioè quando siamo in presenza di una condizione di persona transgender, e questa condizione, definita “disforia di genere”, non consente di vivere in salute.

Si deve sottolineare che oggi è stato riconosciuto uno stretto legame fra salute e felicità. Inoltre l’abbattimento di tutte le forme di discriminazione sociale, culturale e sessuale migliora il benessere di tutte le persone, non solo degli individui oggetto delle discriminazioni. Anche il mancato riconoscimento dei diritti, di qualunque tipo, può comportare un senso di frustrazione che può compromettere la salute di ogni individuo.

Questa realtà per molto tempo nel nostro Paese non è stata affrontata con un’analisi clinico-scientifica che permettesse di aiutare queste persone nel loro benessere. Vivere una sensazione di estraneità rispetto al proprio sesso biologico e al ruolo di genere assegnato, provoca una grande sofferenza. Spesso queste persone percepiscono la sensazione di essere nate con il sesso sbagliato.

Cosa significa la ricerca del benessere, il prendersi cura del nostro corpo così inteso? È un compito immenso. Implica prendersi cura della vita che lo anima, dell’insieme delle relazioni con la realtà che lo circonda, relazioni che vanno dall’igiene all’alimentazione, dall’avere un lavoro o essere disoccupati, alla maniera di vestirci, al modo in cui organizziamo la nostra casa e ci situiamo all’interno di un determinato spazio. Solo così ci trasformiamo sempre più in persone mature, autonome, sagge e pienamente libere.  La percezione della propria identità di genere, cioè di se stessi come donna o uomo, diventa un elemento importante della salute e del benessere di una persona e di un’intera comunità.  Quando il sesso biologico di nascita non corrisponde alla percezione della propria identità di genere si parla di disforia di genere.

Proprio per affrontare problematiche come queste, negli ultimi venti anni a Roma, presso l’Ospedale San Camillo Forlanini, si è svolta e continua ancora un’attività di accoglienza e di presa in cura di persone con un vissuto di alterazione dell’identità di genere, per un supporto psicologico, medico-chirurgico e socio-legale, implicati nel processo di adeguamento tra identità fisica e identità psichica. Garantire accoglienza e supporto a queste persone è utile non solo ai singoli soggetti e alle loro famiglie, ma all’intera comunità che in tal modo può rimuovere barriere discriminatorie, per raggiungere un’elevata qualità di vita sana per tutti. Solo un lavoro di equipe interdisciplinare può svolgere interventi diretti al singolo individuo e di orientamento e mediazione attiva tra una pluralità di soggetti significativi del contesto familiare e sociale in cui è coinvolta la persona: famiglia nucleare ed allargata, servizi socio-sanitari e singoli professionisti della salute, avvocati, giudici, insegnanti, rappresentanti di associazioni LGBT ed altre figure coinvolte in ogni singola storia. Tutto ciò richiede una sinergia di interventi, ruoli ed ambiti, che da sempre costituisce l’aspetto più costruttivo e “più culturale” dell’agire socio-psicologico sul territorio e nella comunità. La Legge n°164, promulgata il 14/04/1982, recante l’intestazione “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, ha determinato, attraverso la possibilità di ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso anagraficamente codificato alla nascita, un miglioramento del benessere di tutte le persone[4].

La cura integrale dell’essere umano è talmente importante che già nelle tradizioni terapeutiche dell’umanità vi è sempre stata la percezione che il prendersi cura è un processo globale che avvolge la totalità dell’essere umano e non solamente la parte inferma o l’organo colpito. Ci rifacciamo alla nostra tradizione occidentale legata alla figura di Asclepio (Esculapio per i latini). Da questa tradizione proviene il padre della medicina classica e moderna, Ippocrate (460-377 a.C.). Asclepio era storicamente un eroe curatore che aveva il suo centro a Epidauro, nel cuore della Grecia. Per più di mille anni, gli infermi da ogni parte del mondo antico, accorsero al suo tempio. L’efficacia dei suoi metodi era tale che dopo la sua morte, Asclepio finì per essere divinizzato[5]. Nel portico del suo tempio, i malati potevano leggere il detto fondamentale della medicina del tempo

Puro sia colui che entra nel tempio di incenso odoroso, puro è colui che in animo nutre pensieri santi[6]     

A Epidauro le cure erano realizzate in forma olistica, attraverso metodi differenziati: con la danza, la musica, la ginnastica, la poesia, i riti e il sonno sacro. C’era l’Abaton, santuario dove gli infermi dormivano per avere sogni di comunione con la divinità che li toccava e li curava. C’era l’Odeon, locale dove si poteva ascoltare musica tranquillizzante e venivano letti e fatti ascoltare poemi sublimi. C’era il Ginnasio, dove si facevano esercizi fisici allo scopo di integrare mente e corpo. C’era lo Stadio per gli sport di competizione controllata per migliorare il tono fisico. C’era il Teatro per la rappresentazione di situazioni complesse delle vita in modo da sdrammatizzare e rendere più facile la cura. C’era la Biblioteca dove si potevano consultare libri, ammirare opere d’arte e partecipare a discussioni sugli argomenti più diversi. Tutto ciò già allora era realizzato in funzione di una visione olistica della realtà della salute e della malattia. La moderna medicina olistica, non fa che riscattare questa memoria terapeutica della nostra stessa tradizione, soffocata troppo spesso da un paradigma scientifico dominante che tenta di curare solo le parti o gli organi malati, senza prendere in considerazione la totalità e la complessità dell’essere umano. È in questo contesto di cura totale dell’essere umano che il poeta Decimo Giulio Giovenale (60 -130 d.C.) ha scritto un famoso verso criticando gli eccessi culinari dei romani:

Orandum est ut sit mensa sana in corpore sano. (Satire X, 356) (Si deve cercare una mente sana in un corpo sano)

 Afferma Ivan Illich, che nell’Homo sapiens, “sano” è un aggettivo che qualifica azioni culturali, etiche e politiche. Almeno in parte la salute di una persona, e quindi di un popolo, dipende dal modo in cui la cultura, la politica e la società condizionano l’ambiente e creano quelle circostanze che favoriscono in tutti e specialmente nei più deboli la fiducia in se stessi, l’autonomia, la dignità di esseri umani. Di

conseguenza, la salute tocca i suoi livelli ottimali là dove l’ambiente genera nelle persone la capacità di far fronte alla vita in modo autonomo e responsabile. La salute in questo senso equivale al grado di cultura e di libertà vissuta[7] La salute designa quindi un processo di adattamento. Esprime la capacità di adattarsi alle modifiche dell’ambiente, di crescere e di invecchiare, di guarire quando si subisce un danno, di soffrire e di attendere più o meno serenamente la morte. La salute abbraccia anche il futuro e perciò comprende l’angoscia e le risorse interiori per vivere con essa. Esprime un processo di cui ognuno è responsabile, anche se solo parzialmente.

Il benessere diventa espressione non soltanto di non essere malato, ma anche di riuscire a fronteggiare la realtà, di gioire di questa riuscita, di esser capaci di sentirsi vivi nel piacere e nel dolore.  La salute e la sofferenza come sensazioni vissute e consapevoli sono fenomeni propri degli uomini, che in ciò si distinguono dagli altri animali.

La salute è definita dallo stile con cui ciascuna società si esprime nell’arte di vivere, di gioire, di soffrire e di morire. Lo stile è immerso in un insieme complesso di simboli, valori e rappresentazioni, in base ai quali gli esseri umani spiegano e organizzano la loro presenza nel mondo, qui e ora (hic et nunc): è espressione della propria cultura.

Diritto alla tutela della salute

L’articolo 32 della Costituzione italiana afferma:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Inoltre i cittadini devono collaborare al mantenimento della salute, sia osservando i comportamenti richiesti nell’interesse collettivo, sia partecipando alle spese necessarie, in rapporto alla loro diversa capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione italiana).

È bene ricordare ancora che l’articolo 3 sottolinea che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Appare del tutto evidente come la piena attuazione di questo articolo, comporti un miglioramento della salute e del benessere assai maggiore di quanto non possano fare atti di natura sanitaria, come l’esecuzione di esami ematologici, laboratoristici inappropriati. Quella che viene definita “medicalizzazione della salute”.

A livello internazionale il diritto alla tutela della salute è garantito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 a New York dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

L’articolo 1 afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di Fratellanza”.

L’articolo 2 precisa: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.

Ma per quanto riguarda la salute e il benessere, è soprattutto l’articolo 25, 1° e 2° comma, che ci fa riflettere molto: “Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”. Le norme giuridiche internazionali riconoscono quindi che ogni essere umano possiede diritti innati, cioè preesistenti alla stessa legge scritta, inviolabili, inalienabili e imprescrittibili. Tra i principali diritti sono da sottolineare il diritto alla vita, il diritto alla giustizia e alla tutela della salute.

Oggi, nella realtà quotidiana, con i cambiamenti del modo di vivere sentimenti affettivi, quanto riusciamo a comprendere l’importanza di realizzare processi di salute e benessere della persona umana? Certamente occorre una capacità di ascolto delle narrazioni di vita delle persone lgbt, per ricomporre il mosaico di emozioni e di tenerezza che viene vissuta, ma spesso con sofferenza. Le diverse pluralità affettive hanno bisogno di un pieno riconoscimento e accoglienza che vivifichi la nostra comunità umana. Ci si chiederà come sia possibile che oggi, con il moltiplicarsi di fonti e occasioni d’informazione scientificamente corretta, accada ancora di registrare situazioni di discriminazione nei confronti di coloro che vivono il proprio orientamento sessuale, l’identità sessuale e di genere, con una pluralità di forme e una diversità che rappresentano una ricchezza per la persona umana.

 

[1] Cfr. Foucault M. Nascita della clinica. (Tr. It.), Einaudi, Torino, 1969.

[2] Cfr. Morrone A, Latini O, Cau N. Salute internazionale e transfrontaliera. Una proposta da realizzare. In (a cura di) Morrone A. Salute e Società, FrancoAngeli, Milano, Anno XIII, n°2/2014; pp106-108

[3] Moynihan R, Glasziou T, et al., Winding back the harms of too much medicine. British Medical Journal 2013;346 :f1271

[4] Cfr. Chianura L, Palleschi L, Felici N. Venti anni di esperienza del Servizio per l’adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica (SAIFIP) dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma. In (a cura di) Morrone A.  Salute e Società, FrancoAngeli, Milano, Anno XIII, n°2/2014; pp. 111-124.

[5] Cfr. Boff L. Il creato in una carezza. Cittadella Editrice, Assisi, 2000, pp. 28-32.

[6] Cfr. Meier CA, Il sogno come terapia. Edizioni Mediterranee, Roma, 1987, p. 60.

[7] Cfr Illich I. Nemesi medica, (Tr. It.) Mondadori, Milano, 1977.

 

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Il coinvolgimento della comunità LGBT nella lotta contro l’AIDS è stato forte fin dall’inizio, giacché la comunità omosessuale dovette per prima confrontarsi con l’espansione dell’epidemia prima ancora che la diffusione del virus cominciasse ad interessare anche le persone eterosessuali. Per tale ragione fin dagli anni’80, nascono campagne e mobilitazioni per favorire la prevenzione, ma anche per combattere l’inasprimento di pregiudizi e discriminazioni legati alla diffusione della malattia.

La lotta all’AIDS, dunque, è intrinsecamente legata alla lotta per il diritto a vivere in modo sereno il proprio orientamento sessuale, contro ogni forma di discriminazione, benessere e solidarietà sono parole chiave che ricorrono in molte campagne. Non solo: richiamandosi all’importanza di vivere senza subire discriminazioni, spesso le campagne propongono immagini di famiglie plurali, composte da persone gay e lesbiche, anticipando così le successive lotte per il riconoscimento giuridico delle coppie.
La lotta contro l’AIDS viene, dunque, intesa e presentata come una lotta in cui tutti e tutte – omosessuali ed eterosessuali – sono chiamati a prendere parte attiva, al fine di promuovere il benessere e la salute dell’intera collettività. Essa poi si è intrecciata con le campagne per il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT, e può avere risultati positivi per tutta la società solo se la solidarietà e il sostegno cominciano proprio dalle persone più vicine, dalla famiglia, dagli amici. Attraverso uno sguardo retrospettivo, la gallery presenta alcuni esempi internazionali di come le associazioni sono intervenute su questi aspetti.

 

 

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