Portale di Informazione Antidiscriminazioni LGBT http://www.portalenazionalelgbt.it identità, diritti, informazione Wed, 18 Jan 2017 11:43:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.7.2 Famiglie plurali: guida alla normativa e alla giurisprudenza http://www.portalenazionalelgbt.it/famiglie-plurali-guida-alla-normativa-e-alla-giurisprudenza/ Fri, 23 Sep 2016 12:48:46 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=5118 A cura di Joëlle Long, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino.

Nell’ordinamento italiano manca una definizione giuridica unitaria di ‘famiglia’, cioè del nucleo i cui componenti hanno diritto a un trattamento particolare (tendenzialmente premiale) poiché le relazioni interne al gruppo sono ritenute meritevoli di tutela per il loro rilievo sociale.

L’analisi del diritto positivo mostra in effetti che i modelli di famiglia delineati dal legislatore sono plurimi e variano in relazione al contesto di riferimento. Le coppie eterosessuali di conviventi more uxorio possono per esempio accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita (art. 5 legge 40/2004), ma sono escluse dall’adozione dei minorenni abbandonati (art. 6 legge n.184/1983)1. A seguito dell’introduzione delle cosiddette “unioni civili” (legge 20 maggio 2016 n.76, art. 1 c. 11 e ss.), le coppie dello stesso sesso possono godere di un trattamento simile a quello delle coppie coniugate nella relazione “orizzontale” tra i partner , ma non nei rapporti con la prole. Ai fini del ricongiungimento familiare sono considerati ‘familiari’ anche i figli minori del coniuge e i minori sotto tutela (art. 29 TU imm.). Una vecchia norma del codice civile, inoltre, include nella nozione di ‘famiglia’ ai fini dell’individuazione del contenuto del diritto reale di abitazione i prestatori di lavoro domestico conviventi con la famiglia, per esempio colf, tata, badante… (art. 1023 cod. civ.). Infine, nella nozione di ‘famiglia anagrafica’ rilevante per la determinazione della situazione economica di riferimento per l’accesso e la partecipazione ai costi degli interventi e dei servizi sociali (es. asili nido, assegnazione di una casa popolare) sono ricomprese tutte le persone che hanno la stessa residenza anagrafica e sono legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o anche solo da ‘vincoli affettivi’, autocertificati dagli interessati (art. 4 del DPR n. 223/89)2.

Con riferimento specifico alla relazione di coppia, si è sostenuto che la lettera dell’art. 29 comma 1° Cost. («La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio») ancori in via esclusiva la nozione di famiglia all’istituto matrimoniale eterosessuale. Secondo l’interpretazione oggi prevalente, tuttavia, la norma ha l’unico effetto di impegnare il legislatore alla tutela dell’unione coniugale tra persone di sesso diverso, senza però precludere la possibilità di interventi legislativi a favore di altri nuclei sociali. Anzi: in forza dell’art. 2 Cost., lo Stato ha il dovere di attivarsi per proteggere i diritti individuali della persona all’interno delle ‘formazioni sociali’, e quindi anche della ‘famiglia’ così come l’individuo sceglie di viverla. In quest’ottica, come già accennato, il legislatore ha riconosciuto alle coppie dello stesso sesso il diritto di formalizzare la loro relazione mediante l’unione civile con conseguenze simili alla celebrazione del matrimonio, pur evitando di qualificare esplicitamente tale unione come “famiglia” (l’art. 1 c. 1 della legge 20 maggio 2016 n.76 la definisce infatti «specifica  formazione  sociale  ai  sensi  degli articoli 2  e  3  della  Costituzione»).Parla invece esplicitamente di vita familiare tra i partner dello stesso sesso la Corte di Cassazione, secondo cui «I componenti della coppia omosessuale… quali titolari del diritto alla ‘vita familiare’ e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche … possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di ‘specifiche situazioni’, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» (Cass. 4184/2012)4.

Anche per quanto concerne la relazione verticale tra il minorenne e il genitore, la situazione è complessa ed incerta. La giurisprudenza è pacifica nell’affermare che, in forza del principio del migliore interesse del minore, contenuto in nuce nell’art.31 Cost. e poi canonizzato nell’art.3 Conv. ONU dir. infanzia, la condizione di omosessualità non esclude di per sé l’idoneità della persona a svolgere funzioni genitoriali (cfr. in materia di affidamento e diritto di visita a seguito della scissione della coppia genitoriale Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601; Trib. Genova, 30 ottobre 2013; Trib. Nicosia, ord. 14 dicembre 2010; Trib. Firenze, ord. 10 aprile 2009; Trib. Bologna, decr. 15 luglio 2008). Anzi, una coppia dello stesso sesso è stata ritenuta una preziosa risorsa per l’affidamento familiare di un minore (Trib. min. Palermo, 4 dicembre 2013). Tuttavia, come già accennato, le coppie dello stesso sesso, indifferentemente unite da unione civile o conviventi di fatto, sono escluse dall’adozione dei minori abbandonati e dalla procreazione medicalmente assistita. Malgrado ciò, parte della giurisprudenza di merito, oggi con l’autorevole avallo della Cassazione, ha riconosciuto la genitorialità della coppia dello stesso sesso che abbia perseguito un progetto procreativo comune utilizzando quale strumento  l’istituto dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lett. d legge n.184 del 1983, un tipo di adozione “minore” previsto dal legislatore in tutt’altre situazioni) (cfr. Trib. min. Roma, 30 luglio 2014,confermata da App. Roma, 23 dicembre 2015 e avallata dalla Cassazione con la sentenza n. 12962 del 22 giugno 2016; Trib. min. Roma 22 ottobre 2015 e Trib. min. Roma 23 dicembre 2015). Altri giudici hanno ammesso direttamente o la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero e che indicava i due partner  dello stesso sesso come genitori, conformemente al diritto locale (App. Torino, 29 ottobre 2014). Sempre il principio del migliore interesse del minore è stato poi invocato per garantire, dopo la rottura della relazione di coppia tra i genitori, la frequentazione tra una donna e i figli biologici della compagna che fino a quel momento erano stati cresciuti insieme dalle due donne (Trib. Palermo, 15 aprile 2015 e, sulla medesima vicenda, App. Palermo 31 agosto 2015 che solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 337bis cod. civ. nella parte in cui non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico). Proprio la frammentarietà e la disorganicità del diritto di origine nazionale impongono di prestare particolare attenzione al diritto internazionale, in particolare alla Conv. eur. dir. uomo, così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo5. Nel corso degli anni, i giudici di Strasburgo hanno infatti delineato con sufficiente precisione la ‘vita familiare’ meritevole di tutela ai sensi dell’art. 8 Conv., nonché individuato un livello minimo di tale tutela. Sebbene la Corte europea tenda a evitare dichiarazioni di principio adottando un approccio casistico e sebbene la mancanza di consensus tra i diversi ordinamenti sulle relazioni di coppia idonee a costituire ‘famiglia’ abbiano indotto per lungo tempo alla cautela, con preferenza per il rinvio agli ordinamenti nazionali, negli ultimi quindici anni i giudici di Strasburgo hanno progressivamente ridotto l’autonomia degli ordinamenti nazionali nel riconoscimento di modelli familiari ‘altri’ rispetto a quello tradizionale della coppia coniugata eterosessuale con figli biologici di entrambi i partner.

Per quanto concerne la relazione di coppia, le ragioni di tale percorso devono essere individuate nell’interpretazione evolutiva del divieto di discriminazioni di cui all’art. 14 CEDU, in particolare sotto il profilo dell’orientamento sessuale6, nonché nella progressiva diffusione tra gli Stati membri del Consiglio d’Europea del diritto delle coppie dello stesso sesso di formalizzare la loro relazione di coppia mediante matrimonio o unione civile (cfr. da ultimo “Oliari c. Italia del 21 luglio 2015” che condanna il nostro Paese per il diniego alle coppie dello stesso sesso della possibilità di formalizzare la loro relazione al fine di fruire di un regime sostanzialmente analogo a quello del matrimonio). Esemplari in questo senso sono le sentenze “Karner c. Austria” (24 luglio 2003) e “X e altri c. Austria” (19 febbraio 2013) che hanno condannato l’Austria per aver trattato in modo ingiustificatamente diverso coppie conviventi omo ed eterosessuali con riferimento rispettivamente alla successione nel contratto di locazione intestato al defunto e all’accesso all’adozione del figlio del partner. La celebre pronuncia “Schalk and Kopf c. Austria” (24 giugno 2010), invece, ha per la prima volta incluso la relazione omosessuale nella vita familiare di cui all’art. 8 Conv. («Data quest’evoluzione [sociale e giuridica] la Corte ritiene artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della vita familiare ai fini dell’articolo 8. Conseguentemente la relazione dei ricorrenti, una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione»).

In merito alla relazione verticale tra genitori e figli, il grimaldello per il riconoscimento di modelli familiari “nuovi” è quello, già illustrato con riferimento al diritto nazionale, del principio del migliore interesse del minore. Per esempio, nella controversa pronuncia “Paradiso e Campanelli c. Italia” (27 gennaio 2015) il nostro Paese è stato condannato dalla Corte di Strasburgo per l’allontanamento dalla coppia italiana committente del figlio avuto dalla stessa in Ucraina mediante il ricorso alla maternità surrogata (vietata in Italia) in considerazione del fatto che i ricorrenti erano stati giudicati genitori inidonei per il solo fatto di essersi procacciati il figlio all’estero in violazione delle norme interne sulla procreazione medicalmente assistita.

Infine, un contributo importante alla determinazione della nozione di famiglia viene dal diritto dell’Unione europea. La comune appartenenza all’Unione europea, infatti, impone di ripensare la nozione di ordine pubblico internazionale (che come noto vieta l’ingresso nello Stato del diritto straniero che rischi di produrre nell’ordinamento interno una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento), anche alla luce della comune appartenenza alla comunità internazionale e soprattutto all’UE che presuppone la comunanza di valori e dei principi fondamentali tra gli Stati membri. Così, la Cassazione, pur negando la trascrivibilità dei matrimoni same sex celebrati all’estero da cittadini italiani, esclude che possa essere invocato il limite dell’ordine pubblico «sia perché altrimenti si determinerebbero effetti palesemente discriminatori in base all’orientamento sessuale, sia perché disposizioni comunitarie ed interne vietano esplicitamente discriminazioni fondate su tale orientamento» (Cassaz. 4184/2012). Isolate pronunce di merito hanno invece ammesso la trascrizione8 o comunque il rilascio del permesso di soggiorno al coniuge dello stesso sesso9. Oltre a ciò, assume rilievo il progressivo riconoscimento, nell’ottica della libertà di circolazione delle persone all’interno dell’Unione (riconosciuta dall’ art. 29 Trattato UE e dagli artt.34 e 45 Carta di Nizza) e per evitare la formazione di situazioni giuridiche claudicanti (cioè produttive di effetti in un ordinamento, ma invalide in un altro), della libertà di circolazione degli status familiari e dunque di un diritto individuale al riconoscimento della posizione giuridica soggettiva acquisita in virtù dei rapporti familiari intrattenuti, pur nel rispetto della competenza dei singoli Stati a definire presupposti e contenuto delle modalità di formalizzazione delle relazioni familiari (cfr. il Reg. n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, ma anche la Direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione delle persone che include tra i familiari «il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante»7).

 

Note:
[1] Un’interessante ricognizione dei diritti dei conviventi etero ed omosessuali è contenuta nel Vademecum dei diritti dei conviventi del Comune di Milano, Milano, 2013.

[2] La disciplina del nuovo ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), peraltro, prevede che il nucleo familiare rilevante ai fini dell’ISEE possa variare considerando anche persone esterne alla famiglia anagrafica (il coniuge che non abbia la stessa residenza anagrafica, i figli della persona non autosufficiente anche se non convivano con la stessa, il genitore non convivente nel nucleo, non coniugato con l’altro genitore e che abbia riconosciuto il figlio), salvo il caso in cui i servizi sociali attestino che tali soggetti sono estranei in termini di rapporti affettivi ed economici (DPCM 5 dicembre 2013 n. 159).

[3] In senso sostanzialmente analogo si esprime Corte cost. 170/2014.

[4] Conforme Cass. civ. 8097/2015 che – pronunciandosi sulla stessa vicenda di Corte cost. 170/2014 – parla di «nucleo affettivo e familiare» (corsivo aggiunto) con riferimento a una coppia di donne, sposatesi prima che una delle due intraprendesse il percorso per la rettificazione del sesso da maschile a femminile, che chiedevano di rimanere coniugate, malgrado il divorzio loro imposto ex lege in conseguenza della rettificazione.

[5] Numerose altre fonti di origine extranazionale riconoscono agli individui «il diritto al rispetto della vita familiare»: l’art. 12 Dich. univ. dir. uomo; l’art. 17 Patto int. dir. civ. e pol.; l’art. 7 (che ricalca l’art. 8 CEDU) e l’art.33 (che protegge la famiglia «sul piano giuridico, economico e sociale») Carta di Nizza. Il particolare interesse per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è dato dell’efficace sistema di controllo e sanzione delle violazioni previsto dalla Convenzione stessa e, soprattutto, dal dinamismo della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

[6] Secondo i giudici europei, le differenze motivate unicamente da considerazioni relative all’ orientamento sessuale sono inaccettabili e le differenze basate sull’orientamento sessuale devono essere giustificate da motivi impellenti o, altra formula utilizzata a volte, da «ragioni particolarmente solide e convincenti» in quanto il margine di apprezzamento degli Stati è limitato. Anche l’Unione europea è stata negli anni molto attiva sul fronte della lotta contro le discriminazioni sulla base del sesso, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (vd. da ultimo il cosiddetto “Rapporto Lunacek”, che delinea una tabella di marcia «contro l’omofobia e la discriminazione, legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere», sollecitando la Commissione a lavorare per «il riconoscimento reciproco degli effetti di tutti gli atti di stato civile nell’Unione europea, compresi i matrimoni, le unioni registrate e il riconoscimento giuridico del genere, al fine di ridurre gli ostacoli discriminatori di natura giuridica e amministrativa per i cittadini e le relative famiglie che esercitano il proprio diritto di libera circolazione»). L’impatto del suo contributo alla rimeditazione della nozione di famiglia è stato tuttavia a oggi assai più limitato di quello della Corte europea dei diritti dell’uomo.

[7] In senso analogo si esprime la Direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare il cui art. 4 rimette agli Stati membri di consentire il ricongiungimento anche al ‘familiare’ che sia «partner non coniugato… che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata… , o… legato… da una relazione formalmente registrata».

[8] Trib. Grosseto, ord. 3 aprile 2014.

[9] Trib. Pescara, ord. 15 gennaio 2013; Trib. Reggio Emilia, 13 febbraio 2012.

]]> Orientamento sessuale: guida alla normativa e alla giurisprudenza http://www.portalenazionalelgbt.it/orientamento-sessuale-guida-alla-normativa-e-alla-giurisprudenza/ Fri, 23 Sep 2016 12:40:17 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=5116 A cura di Mia Caielli, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino.

La tutela giuridica dell’orientamento sessuale è molto recente: difficile è trovare carte costituzionali, trattati, convenzioni o leggi adottate prima dell’ultima decade del Novecento che facciano esplicito riferimento all’orientamento sessuale quale fattore di discriminazione vietato. L’esigenza di introdurre normative apposite volte a colmare le lacune nell’attuazione del principio di eguaglianza che avevano consentito il perpetuarsi di situazioni di svantaggio a danno della popolazione omosessuale si è manifestata con particolare evidenza sul finire dello scorso secolo ed è stata avvertita anche nelle democrazie occidentali consolidate.
Alcune di queste hanno addirittura scelto la via della revisione costituzionale, inserendo nelle proprie leggi fondamentali un riferimento espresso al divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale: è questo, ad esempio, il caso del Portogallo, la cui Costituzione, dopo la modifica intervenuta nel 2004, sancisce all’art. 13, comma II, che «nessuno può essere privilegiato, beneficiato, giudicato, privato di qualsiasi diritto o esonerato da qualsiasi dovere in ragione del suo orientamento sessuale», così seguendo l’esempio di diverse carte costituzionali latino-americane, africane e asiatiche[1].

L’espressione ‘orientamento sessuale’ fa la sua prima comparsa nell’ordinamento giuridico italiano a livello di legislazione non costituzionale, bensì ordinaria, con l’entrata in vigore del D. lgs. n. 216 del 2003 attuativo della Direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale Direttiva ha imposto a tutti gli Stati membri dell’Unione europea l’adozione delle disposizioni necessarie a prevenire e reprimere le discriminazioni motivate da ragioni di età, disabilità, religione e orientamento sessuale, sia dirette che indirette (nonché quei fenomeni ritenuti rientranti nell’ampia categoria delle condotte discriminatorie, quali le molestie e l’ordine di discriminare), nell’ambito dell’impiego pubblico e privato, nell’accesso alla formazione professionale e nell’affiliazione a organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro (Cfr. “Lavoro”).

La possibilità per le istituzioni comunitarie di adottare misure volte a combattere le discriminazioni fondate su tutta una serie di fattori comprendente l’orientamento sessuale era stata riconosciuta dall’art. 13 del Trattato CE (ora art. 19 TFUE ) come emendato dal Trattato di Amsterdam del 1997 (in vigore nel 1999), che ha rappresentato una tappa fondamentale per lo sviluppo del diritto antidiscriminatorio europeo e, conseguentemente, domestico. La tutela dell’orientamento sessuale può quindi ritenersi oggi rientrante nelle funzioni dell’Unione europea ed è prevista nel suo c.d. diritto primario, di cui fanno parte anche le previsioni antidiscriminatorie contemplate nella “Carta dei diritti fondamentali dell’UE” approvata nel 2000 e divenuta giuridicamente vincolante nel 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
E’ da segnalarsi che la protezione dell’individuo dalle discriminazioni legate all’orientamento sessuale offerta dalla normativa europea è quanto mai ampia con riferimento al settore lavorativo, mentre non si estende ad altri aspetti assai rilevanti nella vita quotidiana quali l’istruzione, la sicurezza sociale, l’assistenza sanitaria, l’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura: la citata Direttiva 2000/78/CE non include, infatti, tali ambiti tra quelli in cui opera il divieto di discriminazione, a differenza di quanto prevedono invece altre direttive per le discriminazioni di sesso ed etnico-razziali. Merita peraltro osservare che il 2 luglio 2008 la Commissione europea ha presentato una proposta di nuova direttiva sulla parità di trattamento che estenderebbe la tutela dalle discriminazioni in ragione dell’orientamento sessuale anche ai suddetti ambiti: sebbene con la Risoluzione del 2 aprile 2009 sia stato al riguardo espresso parere favorevole da parte del Parlamento, il procedimento di approvazione non si è ad oggi concluso. Assai significativa pare invece l’attenzione rivolta dall’Unione europea alla tutela dell’orientamento sessuale dei cittadini di paesi terzi o apolidi. Nella Direttiva di rifusione 95/2011 sul riconoscimento dello status di rifugiato si chiarisce che gli Stati membri, nel valutare i motivi di persecuzione, debbano tenere conto anche dell’appartenenza di un individuo a un particolare gruppo sociale, che ben può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale (Cfr. “Identità e culture”).
L’esplicito divieto di discriminazione fondato sull’orientamento sessuale in settori diversi dall’occupazione non è previsto nemmeno dalla normativa italiana, dal momento che il D. lgs. 216/2003 non va oltre a quanto prescritto agli Stati membri dell’UE dalla direttiva vigente. Nell’ultimo decennio sono però state approvate diverse leggi regionali che, oltre a ribadire il principio di parità di trattamento nel settore occupazionale e della formazione professionale, mirano a estendere la tutela dalle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale ad ambiti ulteriori quali, ad esempio, l’istruzione e/o le prestazioni sociali e sanitarie(legge della Regione Piemonte n. 5 del 2016; legge della Regione Liguria n. 52 del 2009; legge della Regione Toscana, n. 63 del 2004), oppure che contemplano la creazione di  organi per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni e l’assistenza alle vittime, come, ad esempio, la “Rete regionale contro le discriminazioni” della Regione Piemonte (legge della Regione Piemonte n. 5 del 2016, artt. 12 e 13), nonché forme di tutela non giurisdizionale del diritto all’eguaglianza dinanzi all’Autorità di Garanzia per il rispetto dei diritti di adulti e bambini (è questo il caso della Legge della Regione Marche n. 8 del 2010, come emendata dalla Legge regionale n. 8 del 2013).

Per quanto concerne la  tutela dell’orientamento sessuale nell’ambito dei rapporti familiari, dopo anni in cui non sono mancati significativi interventi dei giudici ordinari, costituzionali ed europei volti a sollecitare l’adozione da parte del Parlamento di una normativa di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali[2], è di recente intervenuta la legge 20 maggio 2016 n. 76 che ha riconosciuto ai partners di una coppia dello stesso sesso il diritto di formalizzare la loro relazione mediante “unioni civili” da cui derivano diritti e doveri sostanzialmente analoghi a quelli spettanti alle coppie eterosessuali che contraggono matrimonio. Resta invece problematica  la trascrivibilità del matrimonio omosessuale contratto all’estero: al riguardo, merita ricordare che la Corte di Cassazione, con la sentenza n.4184 del 2012 aveva stabilito l’impossibilità di trascrivere il matrimonio contratto all’estero tra individui dello stesso sesso, stante la sua inidoneità a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano. L’affermazione nella medesima decisione della titolarità in capo ai componenti di una coppia omosessuale stabilmente convivente del «diritto a una vita familiare» e del «diritto di vivere liberamente una condizione di coppia» in quanto formazioni sociali ex art. 2 Cost. aveva però indotto il Tribunale di Grosseto, con ordinanza del 2014, ad accogliere il ricorso di una coppia omosessuale che aveva chiesto la trascrizione dell’atto del matrimonio contratto all’estero nei registri dello stato civile del comune di residenza: nonostante l’annullamento di tale pronuncia in sede di appello[3],e il successivo intervento del Consiglio di Stato che, con la pronuncia n. 4899 del 2015, ha riconosciuto la legittimità del potere dei prefetti di annullare le trascrizioni effettuate, la situazione di notevole incertezza presso gli uffici dello stato civile dei comuni italiani tuttora perdura e ha indotto diversi Consigli comunali a deliberare a sostegno dell’operato dei Sindaci favorevoli alla trascrizione[4].

Dal punto di vista dei rapporti tra genitori e figli è invece ormai pacifica l’illegittimità di ogni discriminazione fondata sull’orientamento sessuale nell’affidamento dei minori in caso di rottura della relazione di coppia dei genitori: è quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 601 del 2013 che ribadisce quanto stabilito negli anni precedenti sia dalla giurisprudenza di merito circa l’irrilevanza dell’omosessualità della madre o del padre del minore nella decisione relativa all’affidamento o all’individuazione della dimora della prole[5], sia dalla Corte europea dei diritti umani che con la decisione “E.B. c. Francia” la Corte ha accertato il carattere discriminatorio del mancato riconoscimento dell’idoneità di un soggetto all’adozione di minori fondato su ragioni unicamente riconducibili all’orientamento sessuale. Diversa e più complessa è, invece, la questione dell’adozione coparentale di minori da parte da parte del genitore sociale all’interno delle famiglie omoparentali Anche tale questione è  stata affrontata dalla Corte europea dei diritti umani ma con una decisione  che pare priva di conseguenze immediate per l’ordinamento giuridico italiano. Con la pronuncia “X e altri c. Austria” del 2013 l’Austria è stata, infatti, condannata per l’esclusione delle coppie omosessuali dall’accesso all’adozione coparentale , ammessa invece per le coppie eterosessuali, anche se non sposate, rinvenendo in tale trattamento differenziato una violazione del principio di non discriminazione: violazione che non sussisterebbe in Italia dal momento che  normativa vigente consente questa peculiare forma di adozione solo alle coppie coniugate. La possibilità di adottare il figlio biologico della/del partner è stata però negli ultimi anni ripetutamente riconosciuta dai giudici di merito e, di recente, anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12962 del 2016 (Cfr. “Famiglie plurali”)

Il diritto a non subire discriminazioni in ragione del proprio orientamento sessuale ha, infine, ulteriori molteplici implicazioni elencate in maniera esaustiva, ad esempio, nei c.d. Principi di Yogyakarta adottati nel 2006 che hanno svolto un ruolo di persuasione non irrilevante nei confronti dei governi nazionali, insieme ad altri documenti sopranazionali rientranti nella categoria della c.d. soft law in ragione del loro carattere giuridicamente non vincolante, in cui si sottolinea come i diritti delle persone omosessuali debbano essere ricompresi nella più ampia categoria dei diritti umani (si pensi ad esempio, alla Risoluzione del Consiglio dei diritti umani dell’ONU del 2011 “Diritti umani, orientamento sessuale e identità di genere” e alla successiva del 2014). Analoga valenza persuasiva e programmatica assumono le Raccomandazioni adottate in seno al Consiglio d’Europa, tra le quali merita almeno ricordare la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del 2010 che invita gli Stati ad approvare misure volte a rafforzare la tutela dalle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale in molteplici settori. Una delle aree di intervento indicate è quella della lotta all’omofobia, caldeggiata anche in diversi documenti dell’Unione europea, quali la Risoluzione del Parlamento Europeo sull’omofobia in Europa del 2007, preceduta e seguita da altre risoluzioni di analogo contenuto (Risoluzione del 2012 e Risoluzione del 2014). Tale lotta si è già avviata in diversi ordinamenti europei e non (tra i quali non vi è però ancora l’Italia) che hanno adottato apposite normative volte a combattere il fenomeno dell’omofobia sanzionando penalmente sia i crimini che i discorsi d’odio (Cfr. “Omofobia e transfobia”).

[1] La prima Costituzione al mondo ad aver introdotto l’espresso divieto di discriminazione per motivi legati all’orientamento sessuale è stata quella del Sudafrica entrata in vigore nel 1996, seguita pochi mesi dopo da quella delle isole Figi (1997) e da quella dell’Ecuador (1998).

[2] La Corte costituzionale, con la pronuncia n. 138 del 2010 (link alla banca dati), si era limitata a  rimettere alla discrezionalità del Parlamento il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali; in seguito, con la decisione n. 170 del 2014 (link alla banca dati), dichiarando l’incostituzionalità del c.d. “divorzio imposto” in caso di rettificazione di sesso di uno dei coniugi (cfr. “Identità di Genere”), aveva affidato al legislatore il compito di introdurre una forma di convivenza registrata per le coppie formate da persone dello stesso sesso. In ragione dell’assenza di una legislazione di riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso, l’Italia era è stata poi condannata dalla Corte europea dei diritti umani per la violazione della CEDU nel 2015, con la sentenza “Oliari e altri v. Italia” (reperibile al link https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp?previsiousPage=mg_14_7&contentId=SDU1177280) e nel 2016 con la decisione “Taddeucci e McCall c. Italia” (reperibile in lingua francese al link http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22languageisocode%22:[%22FRE%22],%22documentcollectionid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22],%22itemid%22:[%22001-164201%22]}), in cui si è affermato che costituisce discriminazione diretta sulla base dell’orientamento sessuale nel godimento del diritto alla vita familiare la mancata concessione al partner dello stesso sesso non cittadino dell’Unione europea del permesso di soggiorno per motivi familiari.

[3] Sentenza della Corte di Appello di Firenze del 19 settembre 2014.

[4] Diversi sindaci, dopo la citata pronuncia del Tribunale di Grosseto, avevano infatti iniziato ad autorizzare le trascrizioni di matrimoni contratti all’estero, che però sono state ritenute illegittime dalla c.d. Circolare Alfano n. 10853 del 2014 con cui i prefetti sono stati invitati a ordinare ai sindaci la cancellazione delle trascrizioni già effettuate.

[5] Si vedano l’ordinanza del Tribunale di Nicosia del 2010 e quella del Tribunale di Firenze del 2009.

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Welfare: guida alla normativa e alla giurisprudenza http://www.portalenazionalelgbt.it/welfare-guida-alla-normativa-e-alla-giurisprudenza/ Thu, 28 Jul 2016 10:28:02 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=5087 A cura di Daniela Izzi, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino

L’instaurazione di duraturi rapporti di convivenza tra partner same-sex genera da tempo, com’è comprensibile, significative istanze di tutela previdenziale: basti pensare, per citare un esempio economicamente molto rilevante, all’atteso godimento della pensione di reversibilità da parte del membro superstite di una coppia legata da una stabile unione. Aspettative di questo genere sono rimaste a lungo prive di fondamento giuridico nell’ordinamento italiano, ove le unioni civili tra persone del medesimo sesso sono state istituite solo di recente con la l. 20 maggio 2016, n. 76, che ha posto le premesse per il riconoscimento ai contraenti di tale unione degli stessi diritti attribuiti ai coniugi dalle disposizioni legislative, amministrative e contrattual-collettive (v. l’art. 1, comma 20), provvedendo finalmente alla protezione della vita familiare degli interessati (Cfr. “Orientamento sessuale”).

Fino al varo della l. n. 76/2016, la cui piena operatività (ai sensi dell’art. 1, comma 28) è condizionata ai d. lgs. da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della stessa (cioè dal 5 giugno 2016), il principale punto di riferimento normativo era rappresentato dal d. lgs. n. 216 del 2003, che ha introdotto il divieto di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale nei rapporti di lavoro (Cfr. “Lavoro”), non incidente però nella sfera della previdenza sociale. Questo limite invero caratterizzava già la fonte comunitaria di cui il richiamato d.lgs. costituisce attuazione, cioè la direttiva n. 2000/78, che ha escluso dal proprio campo d’applicazione i «pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale» (così all’art. 3.3): ovvero (come si puntualizza nel tredicesimo considerando) i regimi «le cui prestazioni non sono assimilate ad una retribuzione»1.

Si tratta di una riduzione consistente del raggio d’azione della disciplina antidiscriminatoria, che ha posto gli Stati membri dell’Unione europea al riparo dalle rivendicazioni pensionistiche connesse a rapporti di stabile convivenza omosessuale, almeno ogniqualvolta le prestazioni previdenziali in questione non abbiano natura retributiva. Proprio per questa via, cioè attraverso l’interpretazione estensiva del concetto di «regimi professionali di sicurezza sociale» che erogano prestazioni con valenza retributiva, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha però ripetutamente assecondato le aspirazioni di tutela previdenziale riguardanti coppie same-sex che avevano formalizzato unioni equiparabili al matrimonio eterosessuale perché caratterizzate, in virtù del diritto nazionale, da diritti e doveri analoghi a quelli dei coniugi.

La rotta in questa direzione è stata inaugurata nel 2008 dalla sentenza “Maruko”, che ha considerato discriminatorio in base all’orientamento sessuale, in presenza di un contratto tedesco di unione solidale regolarmente registrato, il diniego al partner del lavoratore deceduto della pensione di reversibilità prevista da un regime previdenziale di categoria. La stessa linea è stata poi ribadita nel 2011 con la sentenza “Römer”, che ha censurato il metodo di calcolo della pensione complementare di vecchiaia spettante agli ex-dipendenti di un ente locale tedesco e ai loro superstiti, perché tale da avvantaggiare i beneficiari coniugati rispetto a quelli coinvolti in un’unione civile registrata.

Più agevole è stato per la Corte di Giustizia assicurare la tutela contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale con riguardo a benefici che, pur essendo considerabili in senso lato misure di welfare, fuoriescono dall’ambito previdenziale e ricadono dunque integralmente entro il campo d’applicazione della direttiva n. 2000/78. Va ricordata a questo proposito la sentenza “Hay” del 2013 che, marcando una netta distanza rispetto alla giurisprudenza comunitaria precedente l’entrata in vigore di detta direttiva2, ha ritenuto illegittima l’esclusione di un omosessuale, contraente del patto civile di solidarietà francese, dalla possibilità di fruire del congedo straordinario e del premio stipendiale concessi dal contratto collettivo – a lui applicabile – ai dipendenti che contraggono matrimonio.

Il presupposto di operatività della protezione antidiscriminatoria garantita dal diritto dell’Unione europea è, in tutti i casi, l’esistenza a livello nazionale di una forma di registrazione della convivenza tra partner same-sex produttiva di effetti giuridici e comparabile al matrimonio ai fini del godimento del beneficio controverso.

Il riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso avvenuto con la l. 76/2016, che ha recepito gli impulsi sempre più consistenti provenienti in tal senso dal diritto internazionale (Cfr. “Famiglie plurali”), rappresenta quindi il passo decisivo per il loro accesso alle misure di welfare. Alla copertura dei costi collegati agli «oneri di natura previdenziale e assistenziale» derivanti dalla recente svolta normativa sono destinate apposite risorse, la cui entità e le cui modalità di determinazione sono indicate nella stessa legge (all’art. 1, commi 66 e 67).

In precedenza, l’assenza di una presa di posizione del legislatore nazionale sulle unioni same-sex non aveva comunque impedito espliciti interventi a favore di queste in sede di contrattazione collettiva aziendale, ove è stato ad esempio stabilito l’allargamento ai «conviventi di fatto» anche dello stesso sesso della fruizione dei permessi dal lavoro previsti in caso di decesso di familiari3 oppure il godimento del congedo matrimoniale al membro di una coppia convivente che si è unita, eventualmente all’estero, in un matrimonio non trascritto nei registri dello stato civile italiano4.

Si sono inoltre registrate aperture giurisprudenziali come quella effettuata dalla Corte d’Appello di Milano con la decisione n. 7176 del 2012. Questa sentenza, interpretando la disposizione statutaria di una cassa mutualistica di categoria che includeva tra i beneficiari dell’assistenza sanitaria ivi regolata il «convivente more uxorio risultante dallo stato di famiglia», ha infatti affermato che «il significato dell’espressione “convivenza more uxorio” non può essere limitato alle sole convivenze eterosessuali, in quanto significato attribuitole in epoca ormai risalente», ma deve ormai includere anche «le unioni omosessuali cui il sentimento socialmente diffuso riconosce il diritto alla vita familiare propriamente intesa».

In materia sanitaria, oltre che in relazione agli altri servizi erogati a livello regionale (istruzione, formazione professionale e politiche attive del lavoro, promozione di eventi culturali, tutela dei diritti attraverso il difensore civico), va ancora ricordata la specifica attenzione rivolta alle esigenze delle persone omosessuali o transessuali da alcune leggi regionali all’avanguardia nella lotta alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Sia la legge della Toscana n. 63/2004 che la legge della Liguria n. 52/2009 riconoscono difatti, a chi ha compiuto la maggiore età, il diritto di designare una persona che abbia accesso alle strutture di ricovero e cura per prestare assistenza al malato in ogni fase della degenza e alla quale gli operatori delle strutture socio-assistenziali devono riferirsi per tutte le comunicazioni relative al suo stato di salute; attribuiscono inoltre alle aziende sanitarie locali il compito di attuare adeguati interventi di informazione, consulenza e sostegno per rimuovere gli ostacoli alla libera espressione e manifestazione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere di ciascuno. Su un’analoga lunghezza d’onda si colloca la legge regionale delle Marche n. 8/2010, che promuove tra l’altro l’attivazione di centri di ascolto per la prevenzione e la riduzione del disagio provocato dalle discriminazioni legate a queste caratteristiche.

Con riguardo alla transessualità, non trascurata dalla legislazione regionale appena richiamata, va infine evidenziata l’efficace tutela garantita dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea facendo leva sui divieti di discriminazione in base al sesso risultanti ora dalla direttiva sulla parità fra uomini e donne in materia d’occupazione n. 2006/54 (e, a livello nazionale, dal codice delle pari opportunità fra uomini e donne di cui al d.lgs. n. 198/2006). Accomunate da questa impostazione sono, in materia previdenziale, le sentenze “K.B.” del 2004 e “Richards” del 2006, dalle quali si evince che ai lavoratori transessuali devono essere riconosciuti gli stessi diritti previdenziali spettanti ai soggetti appartenenti sin dalla nascita al genere da essi acquisito a seguito dell’intervento di rettifica del sesso.

Note:
[1] Sempre nel tredicesimo considerando della direttiva n. 2000/78 si precisa che il termine retribuzione va inteso nell’accezione data allo stesso ai fini dell’applicazione del principio di parità retributiva tra uomini e donne oggi risultante dall’art. 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ove è chiarito che «per retribuzione si intende … il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo».
[2] Si fa riferimento alle sentenze rese dalla Corte di Giustizia nel caso “Grant” del 1998 e nel caso “D” del 2001, che avevano respinto le istanze avanzate da lavoratori conviventi con partner dello stesso sesso al godimento rispettivamente di un servizio aziendale a prezzo scontato previsto per i familiari dei dipendenti e di un assegno di famiglia.
[3] Così dispone il contratto collettivo di lavoro firmato con la Filcams Cgil del Trentino dalla società del settore grande distribuzione Orvea il 4 luglio 2012.
[4] In questo senso dispone l’accordo firmato tra Intesa Sanpaolo e le organizzazioni sindacali, in attuazione del Protocollo sull’inclusione e le pari opportunità nell’ambito del welfare del Gruppo Intesa Sanpaolo, il 24 luglio 2014.

 

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Unioni civili e disciplina delle convivenze: approvata la legge http://www.portalenazionalelgbt.it/unioni-civili-e-disciplina-delle-convivenze-approvata-la-legge/ Fri, 08 Jul 2016 11:32:54 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=5046 Approvato in via definitiva l’11 maggio 2016 il disegno di legge “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

La legge (L. 20 maggio 2016 n. 76), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 21 maggio 2016, introduce nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e disciplina le convivenze di fatto. Entra in vigore il 5 giugno 2016.

Questi, in sintesi, gli aspetti principali.

Unioni civili

Un’unione civile tra due persone maggiorenni dello stesso sesso si costituisce mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civileed alla presenza di due testimoni. L’atto è registrato nell’archivio dello stato civile. Le parti possono stabilire, dichiarandolo all’ufficiale dello Stato Civile, di assumere un cognome comune, scegliendo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio.

Diritti e Doveri

Con la costituzione dell’unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e doveri. In particolare  da essa discendono:

  • l’obbligo di assistenza morale e materiale;
  • l’obbligo di coabitazione;
  • l’obbligo di contribuzione economica in relazione alle proprie capacità di lavoro professionale o casalingo;
  • l’obbligo di definizione di comune accordo dell’indirizzo della vita familiare e della residenza.

Regime patrimoniale

Il regime patrimoniale, in mancanza di diversa convenzione tra le parti, è la comunione dei beni. Alle convenzioni patrimoniali si applicano le norme del codice civile.

Diritto successorio

Riguardo alla successione, alle unioni civili si applica parte della disciplina contenuta nel libro secondo del codice civile.

Impedimento o nullità

L’unione civile è impedita dal precedente vincolo matrimoniale o di unione civile, dall’interdizione, dalla sussistenza dei rapporti di parentela, affinità o adozione tra le parti, dalla condanna di una delle parti per omicidio tentato o consumato nei confronti del coniuge o di chi sia unito civilmente con l’altra parte dell’unione civile. È prevista la disciplina dei casi di nullità delle unioni civili.

Scioglimento dell’unione

L’unione civile si scioglie con manifestazione congiunta o disgiunta dinanzi all’ufficiale dello Stato Civile e si applicano alcune norme previste per il divorzio, ad esclusione dell’istituto della separazione.

Delega al Governo

Prevista una delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi al fine di adeguare alla nuova legge le disposizioni dell’ordinamento dello Stato Civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché al fine di coordinare ed adeguare le norme del diritto interno e quelle del diritto internazionale.

Per maggior approfondimenti www.governo.it

]]> Adolescenza e omosessualità in un’ottica evolutiva http://www.portalenazionalelgbt.it/adolescenza-e-omosessualita-in-unottica-evolutiva/ Thu, 07 Jul 2016 09:41:16 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=4927 Adolescenza e omosessualità in un’ottica evolutiva: coming out, compiti di sviluppo, fattori di protezione [1]

A cura di Vittorio Lingiardi  e Roberto Baiocco 

Come avviene la ‘scoperta’ della propria omosessualità? È un fulmine a ciel sereno o l’esito di una lunga serie di ‘indizi’? Avviene prima, durante o dopo l’adolescenza? Quante cose vissute ‘prima’ vengono comprese ‘dopo’? Ma prima e dopo cosa? C’è un momento in cui un/a adolescente dice “sono gay”, “sono lesbica”? Quali dubbi e certezze, tristezze e gioie, paure e curiosità accompagnano un ragazzo o una ragazza nel riconoscimento del proprio orientamento sessuale e nell’acquisizione di consapevolezza della propria identità? E poi, tempi e modi di questo percorso sono gli stessi per tutti e per tutte?

Questo contributo si propone di affrontare alcuni aspetti dello sviluppo dell’orientamento (omo)sessuale e dell’identità di genere in adolescenza, evidenziando alcune specificità che i percorsi formativi spesso trascurano.

Scrivere di omosessualità è sempre un problema perché si rischia di isolare questa dimensione nucleare dell’identità dall’esperienza umana generale. D’altra parte, non scrivendone, si rischia di tacere un elemento fondamentale della vita di molte persone. È necessaria perciò la capacità di mantenersi in equilibrio tra differenze e uguaglianze. Inoltre, le forme dell’omosessualità sono così tante che il tentativo di elaborare una teoria comprensiva dell’omosessualità è realizzabile solo al prezzo di una grave distorsione delle differenze che esistono tra le persone omosessuali. Infatti, molte e diverse sono le (etero-)(bi-)-(omo-)-sessualità, e sempre plasmate dai contesti culturali e di genere. Sappiamo ancora ben poco di come le forze biologiche, le identificazioni, i fattori cognitivi, l’uso che il bambino fa della sessualità per risolvere i conflitti dello sviluppo, le pressioni culturali alla conformità e il bisogno di adattamento contribuiscano alla formazione dell’individuo e alla costruzione della sua sessualità (LeVay, 2011). Eppure, per molti anni l’omosessualità è stata un argomento controverso, che ha impegnato psicologi e psicoanalisti nella ricerca di modelli esplicativi e nella costruzione di teorie che, anche se diversamente articolate, hanno a lungo confinato le persone omosessuali nel territorio della psicopatologia.

Non è da molto che la comunità psicoanalitica ha avviato una radicale revisione delle teorie che vedevano nell’omosessualità un esito patologico o comunque ‘non riuscito’ dello sviluppo. Tali teorie prendevano le mosse dal modello cosiddetto ‘psicosessuale’, che prevedeva l’esistenza di un’unica linea di sviluppo ‘sana’ e pressoché ‘invariabile’, che tendeva al raggiungimento di un culmine eterosessuale e assicurava la maturità e la salute mentale. Eventuali differenze dovute al genere erano tenute in scarsa o nessuna considerazione, e la possibilità di un orientamento omosessuale ‘normale’ neppure contemplata. L’omosessualità (per lo più maschile) era ‘spiegata’ ricorrendo a costellazioni familiari ‘tipiche’, come un rapporto troppo intimo con la madre o l’assenza della figura paterna (Lingiardi, 2016).

È solo dalla fine del secolo scorso che, in ambito psicoanalitico, prende consistenza e riceve considerazione una letteratura sull’omosessualità non gravata dal pregiudizio. Per la prima volta, psicoanalisti e studiosi omosessuali escono dalla clandestinità e prendono la parola (Drescher, 1998; Isay, 1989; Roughton, 2002). È l’inizio del cosiddetto processo di “depatologizzazione” dell’omosessualità.

 Sul piano della pratica clinica avvengono cambiamenti sostanziali. Gli approcci terapeutici, fino a quel momento caratterizzati da modelli che consideravano l’omosessualità un disturbo da curare (e che daranno vita alle cosiddette ‘terapie riparative’, inefficaci e dannose) cedono il posto a una visione dell’omosessualità come normale variante non patologica della sessualità umana. Finalmente, sul finire del secolo scorso, le ripercussioni negative della stigmatizzazione/discriminazione sociale sui percorsi evolutivi delle persone gay e lesbiche iniziano a essere riconosciute. La ricerca sull’omosessualità inizia così a cedere il passo alla ricerca sull’omofobia. La domanda non è più “perché lei è omosessuale?” (domanda destinata a rimanere senza risposta), ma “perché lei ha ostilità, paura, disgusto verso l’omosessualità e gli omosessuali?” (Lingiardi, Nardelli, 2014).

Una prospettiva evolutiva

All’incirca a partire dai due anni, i bambini mostrano una chiara preferenza per il gioco con bambini dello stesso genere. Se interagiscono con bambini di genere differente, generalmente fanno un gioco parallelo oppure si limitano a osservare il gioco dell’altro.

La scuola primaria è uno dei luoghi dove vengono ‘prodotte’ specifiche pratiche di genere. Anche i libri tradizionali di favole veicolano stereotipi, rafforzando i ruoli di genere e la contrapposizione maschile vs. femminile: per esempio, le principesse sono solitamente buone e fragili e vengono salvate da principi forti e coraggiosi. Fin dalla primissima infanzia i bambini associano al ‘maschile’ caratteristiche quali assertività, forza e coraggio e al ‘femminile’ aspetti come dipendenza, emotività e cura per gli altri. Già a partire dai tre-quattro anni, i ruoli e i comportamenti tendono a venire determinati dal genere d’appartenenza e ogni forma di atipicità viene giudicata negativamente e ostacolata, sia dal gruppo dei pari sia dagli adulti (Baumgartner, 2010).

 I bambini e le bambine tra i quattro e i sei anni sembrano cogliere con chiarezza le ‘differenze’ tra uomini e donne; inoltre, per assimilazione, possono annettere un significato negativo alle parole ‘gay’ e ‘lesbica’, anche quando non ne conoscono con precisione il significato. Mentre le bambine sembrano più portate a interessarsi anche ai giochi ‘da maschi’, i bambini cercano di evitare i giochi ‘da femmine’ (Martin, Fabes, Hanish, Leonard, Dinella, 2011). Queste modalità diverse di interazione spesso portano i maschietti alla chiusura e alla segregazione e, di conseguenza, anche le bambine iniziano a incontrare difficoltà e così hanno scarse possibilità di partecipare al gioco dei compagni maschi.

A scuola, tra i sette i dieci anni, possono comparire i primi comportamenti vessatori verso chi è percepito come ‘diverso’. I bambini, in particolare i maschi, iniziano a usare parole offensive nei confronti dei gay e dell’omosessualità (Rivers, 2011; Toomey et al., 2010). Generalmente la segregazione di genere è massima tra gli 11 e i 12 anni. Il difficile cammino per la ‘conquista’ della propria identità spinge molti ragazzi a rifiutare la diversità e i comportamenti non conformi al genere d’appartenenza. Così, i ragazzi che si discostano dai ruoli di genere mediamente attesi spesso vengono stigmatizzati e isolati.

 Anche senza volerlo, genitori e insegnanti propongono stereotipi e pregiudizi di genere, finendo per rinforzare la segregazione sessuale. Inoltre, spesso tendono a far coincidere l’orientamento sessuale con i comportamenti non conformi al genere di appartenenza (per esempio, un bambino che gioca con le bambole è ‘destinato’ a diventare gay). Tali dimensioni, entrambe connesse all’identità sessuale, non sono invece né obbligatoriamente né univocamente correlate.

Molti adulti gay e lesbiche fanno risalire all’età di 4-5 anni i primi ricordi della ‘sensazione’ di essere ‘diversi’ o ‘diverse’ dai propri coetanei rispetto alle preferenze nei giochi e alla scelta dei propri compagni, ad aspetti del carattere o a un comportamento ‘atipico’ rispetto alla visione convenzionale del genere d’appartenenza; per esempio, bambine che prediligono giochi d’azione e bambini che prediligono giochi sociali e appaiono più ‘sensibili’ (Lingiardi, Carone, 2016).

In giovani gay e lesbiche l’amicizia infrange più facilmente la segregazione di genere: scelgono infatti come amici o ‘amici del cuore’ un bambino o una bambina non del proprio genere (Baiocco, Di Pomponio, Nigito, Laghi, 2012). Al tempo stesso, l’adolescente può scegliere interessi e amici in modo ‘conformistico’ come effetto della pressione esercitata dalla socializzazione con i coetanei. In particolare, il timore di essere scambiati per gay o lesbiche spinge la maggioranza dei ragazzi, indipendentemente dall’orientamento sessuale, a modellare il proprio comportamento in funzione più delle aspettative (interne e esterne) di genere che delle proprie preferenze e attitudini personali.

Nell’infanzia, il sentimento predominante può invece essere quello di sentirsi diversi senza comprenderne i motivi. In questo caso il processo di individuazione non rafforza un’idea di sé come soggetto unico e degno di valore, ma spesso come individuo strano e non assimilabile al gruppo dei coetanei. In adolescenza, o quando si diventa adulti, tali differenze possono essere attribuite in particolare all’orientamento sessuale, che può essere visto, anche soggettivamente, come una tra le possibili spiegazioni delle difficoltà provate nell’infanzia.

È importante sottolineare che queste linee evolutive, sebbene ricorrenti, non rappresentano la storia di tutti i giovani gay e lesbiche. Come le eterosessualità, anche le omosessualità sono molte, e molti, dunque, i modi in cui possono essere vissute. Meglio dunque parlarne al plurale: le omosessualità (le bisessualità, le eterosessualità). Alcuni, per esempio, sono diventati consapevoli del proprio orientamento sessuale solo da adulti, magari dopo i trent’anni e varie esperienze di tipo eterosessuale. Altri raccontano di essersi sempre sentiti ‘diversi’ dalla maggior parte dei propri coetanei, ma di aver dato un nome a tale ‘diversità’ attraverso le parole degli altri che, per primi, li hanno ‘identificati’ come gay o lesbiche, spesso purtroppo chiamandoli con appellativi offensivi. Anche le reazioni a queste scoperte possono variare in modo sostanziale: fonte di turbamento per alcuni, semplice fastidio limitato a poche esperienze negative per altri; spunti di resilienza e affermazione di sé per alcuni, elementi traumatici destinati a segnare l’intero corso della vita per altri.

Lo sviluppo dell’identità

Alcuni autori differenziano il concetto di formazione dell’identità da quello di integrazione dell’identità. Con il primo si intende lo sviluppo della consapevolezza del proprio orientamento sessuale, iniziare a domandarsi se si è gay oppure bisessuali, conoscere e frequentare contesti nei quali incontrare altre persone omosessuali. L’integrazione dell’identità si riferisce invece all’accettazione della propria identità omosessuale, alla risoluzione dell’omofobia interiorizzata (assimilare il pregiudizio sociale anti-omosessuale e rivolgerlo contro se stessi o se stesse), alla valorizzazione degli aspetti positivi della propria identità, al sentirsi privatamente e pubblicamente a proprio agio con il fatto che gli altri possano ‘conoscere’ o ‘intuire’ il proprio orientamento sessuale, all’essere in grado di comunicare senza problemi e imbarazzi la propria omosessualità (Rosario et al., 2006). Ovviamente la formazione e l’integrazione dell’identità sono due processi intimamente connessi.

Il coming out può configurarsi quindi come un vero e proprio compito di sviluppo specifico per gli adolescenti omosessuali e rappresenta per molti giovani gay e lesbiche un “crocevia esistenziale” (Pietrantoni, 1999) che sancisce un ‘prima’ e un ‘dopo’ per diventare, in seguito, un processo decisionale che viene attivato tutte le volte che la situazione interpersonale lo richiede (Chiari, 2006). Anche molti genitori ricordano il momento in cui il proprio figlio o la propria figlia ha parlato con loro del suo orientamento sessuale come un momento fondamentale della loro vita e del loro modo di essere genitori: una frattura, ma anche una possibilità di rinascita come ‘genitori’. Due volte genitori è appunto il titolo di un bel documentario (Cipelletti, 2008) realizzato con la collaborazione dell’AGEDO cioè dell’Associazione Genitori di Omosessuali (http://www.agedonazionale.org).

Uno dei modelli più conosciuti per spiegare lo sviluppo dell’identità di giovani gay e lesbiche è quello proposto da Vivienne Cass (1979). Secondo tale modello la persona ha un ruolo attivo nell’acquisizione dell’identità omosessuale attraverso un’interazione continua con l’ambiente. Sebbene nei processi di socializzazione vi siano differenze legate al genere, il modello può essere applicato nel caso sia di ragazzi sia di ragazze. Si tratta di un modello a sei stadi: 1) pre-coming out, relativa confusione, scarsa consapevolezza (può esserci consapevolezza della propria ‘differenza’ rispetto a ragazzi/e non-gay, ma una certa incapacità a cogliere il motivo di tale differenza); 2) iniziale coming out o confronto dell’identità (maggiore consapevolezza dei propri sentimenti e affetti; viene colto il significato delle differenze con ragazzi non-gay e inizia il coming out prima con se stesso/a, poi con gli amici); 3) esplorazione dell’identità (inizia la sperimentazione sociale e sessuale; ricerca di contesti supportivi dove potersi esprimere con maggiore libertà e dove è possibile fare, con se stessi e con gli altri, affermazioni del tipo: “credo di essere gay”); 4) accettazione dell’identità (maggiore capacità di gestire e stabilire relazioni con persone sia etero sia omosessuali); 5) orgoglio (attribuzione di valore alla propria identità omosessuale); 6) sintesi dell’identità (la propria omosessualità è vissuta in modo sereno, senza paura e dinamiche reattive).

Un modello successivo (McCarn e Fassinger, 1996) riprende il modello di Cass, ma individua due dimensioni separate nello sviluppo dell’identità omosessuale: una riguarda gli aspetti individuali e l’altra comprende le dinamiche legate al gruppo d’appartenenza. Entrambe le dimensioni sono caratterizzate da quattro stadi progressivi: a) consapevolezza o sensibilizzazione; b) esplorazione; c) impegno; d) sintesi o integrazione dell’identità. Pur interagendo, le due dimensioni, individuali e di gruppo, possono procedere a velocità diverse, per cui un giovane può trovarsi nello stadio dell’impegno per la dimensione individuale e nello stadio della consapevolezza rispetto alle dinamiche relative al gruppo d’appartenenza.

Tali modelli sono stati criticati, non del tutto a torto, in quanto eccessivamente ‘lineari’ o troppo rigidi nel determinare gli stadi di sviluppo dell’identità. Approcci teorici più recenti pongono maggiore attenzione al contesto sociale e ai processi di costruzione psicosociale delle identità omosessuali, considerando non solo il ruolo svolto dalla persona nell’interpretare la realtà, ma anche le influenze del contesto politico, giuridico, economico e socioculturale.

[1] Questo contributo è tratto da: Lingiardi, V., Baiocco, R. (2015). “Adolescenza e omosessualità in un’ottica evolutiva: coming out, compiti di sviluppo, fattori di protezione”. In E. Quagliata, D. Di Ceglie (a cura di). L’identità sessuale e l’identità di genere. Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma (pp. 127 – 149).

 

 

Riferimenti bibliografici

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Cipelletti, C. (2008). Due volte genitori. Documentario prodotto in collaborazione con AGedO col finanziamento della Commissione Europea, Progetto Daphne II “Family matters-Sostenere le famiglie per prevenire la violenza contro giovani gay e lesbiche”. Le informazioni relative al documentario sono scaricabili dal sito: http://www.duevoltegenitori.com/

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 – GAY e LESBICHE

TRANSESSUALISMO, GENERE/SESSO

INTERSESSUALISMO

 

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XXXY di Porter Gale (USA, 2000)
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One in two Thousand di Ajae Clearway (USA, 2006)
XXY di Lucia Puenzo (Argentina-Spagna, 2007)
Ordre des mots, L’ di Cynthia Arra e Melissa Arra (Francia, 2007)
Orchids, my Intersex Adventure di Phoebe Hart (Australia, 2010)
Spork di JB Ghuman Jr. (USA, 2011)
Intersexion di Mani Bruce Mitchell (USA, 2012)
Predestination di Michael Spierig e Peter Spierig (Australia, 2014)
Arianna di Carlo Lavagna (Italia, 2015)

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