E dove si trova l’amore, se non in un romanzo?

A cura di Margherita Giacobino, saggista e traduttrice.

Nel 1981 la studiosa americana Lillian Faderman pubblicò un bel libro (in parte tradotto in italiano parecchi anni dopo nel volume “Una storia tutta per noi”) il cui titolo “Surpassing the Love of Man” era una citazione dalla Bibbia, laddove si parla dell’amore tra i due amici Davide e Gionata, che «supera l’amore delle donne». Faderman vi esaminava i rapporti di affettività e amore tra donne che, appunto, ‘superavano l’amore degli uomini’, ovvero erano più forti dei convenzionali legami di coppia eterosessuale. Il lavoro di Faderman copre un arco che va dal sedicesimo secolo, inizio dell’età moderna, fino agli anni Settanta del Novecento e ricostruisce i modi in cui è stato rappresentato in letteratura l’amore tra donne: ora demonizzato, ora ridicolizzato, ora trattato come una bizzarria di natura, immancabilmente visto attraverso occhi maschili in quei secoli in cui la scrittura pubblica è privilegio, appunto, del maschio.

Ma presto anche le donne cominciano a scrivere per un pubblico, e lo fanno dapprima timidamente e magari sotto pseudonimo nel Seicento, più arditamente nel Settecento – tanto da far pensare che siano state proprio le donne, con il loro interesse per le vicende private, il sentire, i rapporti interpersonali, a fondare il romanzo moderno, quello che si occupa soprattutto di raccontare lo sviluppo psicologico dei personaggi e le loro vicende personali. Se le donne per secoli sono ritenute a malapena soggetti (la ‘costola di Adamo’ resta a lungo priva di diritti civili e politici, e del diritto di parlare per sé in pubblico), con l’emancipazione che prende l’avvio nell’Ottocento le cose cambiano. In letteratura come nella vita, le donne, soprattutto quelle che hanno potuto studiare e coltivare un sogno di indipendenza, a volte fanno scelte alternative a quella della famiglia patriarcale, e focalizzano i loro affetti su altre donne. Quella che Faderman definisce ‘amicizia romantica’ è una modalità di rapporto che unisce molte coppie di amiche nell’Ottocento; si tratta di un legame molto forte, in cui non sempre la sessualità è vissuta, o riconosciuta come tale, ma viene comunque affermato il diritto e il bisogno di un dialogo privilegiato, a livello affettivo come intellettuale, con altre donne. Nel Novecento sarà la psicanalisi, con la sua enfasi sulla sessualità onnipresente nella vita e nei rapporti, a determinare la condanna sociale di questi rapporti di amicizia amorosa, oggetto di una nuova demonizzazione: le donne che preferiscono la compagnia di altre donne a quella dell’uomo sono ora trattate come malate, devianti, perverse. Bisognerà arrivare alla seconda grande ondata di femminismo, quella che comincia negli Stati Uniti negli anni Sessanta e travolge tutto il mondo occidentale, per cominciare a smantellare l’interdetto della società. Da allora, i movimenti femministi, giovanili, omosessuali e poi queer, determinano progressivi mutamenti nel sentire collettivo e nell’immagine dell’omosessualità femminile, come di quella maschile, della transessualità, del transgenderismo e di ogni posizionamento ‘anomalo’ nella sfera del genere e della sessualità. Ma il femminismo non è solo rivendicazione di libertà individuale: spesso, il suo pensiero va più in profondità, rendendosi conto che i diritti individuali non bastano, e non sono mai al sicuro, se non sono parte di una più grande rivendicazione dei diritti di tutti coloro che sono, in qualunque modo e misura, oppressi da un potere che li esclude, limitati da definizioni che li negano o li sviliscono.

Fino a qualche decennio fa, una giovane donna che andasse alla ricerca di storie di affettività e sessualità fra donne aveva grande difficoltà nel trovarne una che non fosse punitiva o catalogata come ‘vietata ai minori’. I personaggi di finzione che osavano sfidare l’interdetto patriarcale andavano incontro a solitudine, pazzia, suicidio e consimili happy end. Questo avveniva, naturalmente, molto più in letteratura che nella vita vera: nella realtà, donne che hanno vissuto felicemente, e qualche volta perfino apertamente, rapporti d’amore con altre donne sono esistite in varie epoche – ma poiché le storie che si raccontano sulla carta sono sempre soggette a censure maggiori di quelle che si vivono, spesso le vicende ritenute anomale vengono cancellate dalla memoria. Oggi per fortuna le cose stanno cambiando, e sono reperibili molti romanzi, saggi, biografie che esplorano l’affettività e la sessualità lesbica.
Tuttavia, pur tra censure di ogni tipo, scrittrici che hanno osato affrontare l’interdetto ce ne sono state fin dai primi del Novecento. Le più vicine a noi sono vissute in Francia, come la poeta Renée Vivien (nom de plume dell’inglese Pauline Tarn, che si stabilì a Parigi giovanissima), la prima a scrivere versi apertamente ‘saffici’, ovvero ispirati all’antica poeta greca Saffo, che celebrò l’amore per le fanciulle e la bellezza della vita in una comunità femminile. Personaggio di grandissimo interesse, colta, eccentrica, viaggiatrice, Renée Vivien dilapidò la sua vita in forme non molto diverse da quelle che potrebbe usare oggi una diva rock: alcol, droga, anoressia. Fu amante di Natalie Clifford Barney, una ricca americana, grande seduttrice e mecenate di artiste, che stabilì a Parigi un salon in cui si riuniva la mondanità intellettuale della capitale, e che fu frequentato anche dalla grande scrittrice Colette (che conosceva bene gli amori ‘irregolari’ e ne parlava in alcuni suoi scritti). Faceva parte della cerchia di Barney anche l’americana Djuna Barnes, che prima di arrivare a Parigi aveva vissuto a Berlino (altra città dove prosperò, fino all’avvento del nazismo, una cultura alternativa lesbica e gay), e che fu autrice di “La foresta della notte”, un elegante e difficile romanzo sugli amori tra due donne, Nora e Robin, in cui si rispecchia la vicenda autobiografica della stessa Barnes.
Gli anni Venti furono, in Europa come negli Stati Uniti, quelli della massima libertà di costume e di espressione, e diedero vita a vivaci sottoculture alternative. Ma il solo libro a tematica lesbica pubblicato in quegli anni che oltrepassò tutte le frontiere, suscitando enorme attenzione e scandalo, fu “Il pozzo della solitudine”, dell’inglese Marguerite Radcliffe Hall. Il romanzo racconta di Stephen, un’aristocratica che si sente più maschio che femmina, attratta dalle donne, che alla fine rinuncia a un amore appagante e corrisposto con la giovane Mary per non esporre quest’ultima alla condanna sociale. L’autrice, da parte sua, fu ben lontana dal fare questo sacrificio, e visse apertamente i suoi legami con donne. Il suo libro fu, per decenni, l’unico testo lesbico a diffusione mondiale – portavoce e simbolo non tanto dell’infelicità obbligatoria di chi fa scelte diverse, quanto dell’ipocrisia che esige che queste scelte non siano riconosciute come possibili o perfino felici.

Nel frattempo il clima politico si faceva più pesante, con i totalitarismi in Europa e la grande depressione in America. Le libertà individuali, prima fra tutte quella di espressione, si restringevano sempre di più, facendo posto a un soffocante controllo e conformismo. Ancora dopo la guerra, negli anni ’50, di omosessualità non si poteva parlare se non in termini negativi, come di uno stile di vita perverso, e perciò oggetto di condanna ma anche di grande, morbosa curiosità. Per questo negli Stati Uniti fioriva una sottoproduzione letteraria detta pulp, dal tipo di carta da poco prezzo che si usava per la stampa, nella quale figuravano spesso anche personaggi di donne ‘perdute’ e ‘viziose’: era l’epoca dell’ ‘amore che non osa dire il suo nome’, e delle vere e proprie persecuzioni contro gli omosessuali messe in atto dallo stato americano. Tuttavia anche allora voci discordanti si facevano sentire: nel 1952 la giovane scrittrice Patricia Highsmith, che poi diventerà famosa come giallista, pubblica il romanzo “The Price of Salt”, più tardi ripubblicato con il titolo di “Carol”. E’ la storia di due donne coraggiose e avventurose che sfidano l’interdetto sociale e affermano il loro amore; ma Highsmith lo pubblicò con uno pseudonimo, per non rovinarsi la carriera di scrittrice. Il libro conobbe un grande successo e ancora oggi è ristampato e letto in tutto il mondo, e ha ispirato il film omonimo di Todd Haynes.

Bisogna arrivare agli anni Sessanta, dopo la guerra e la ricostruzione, perché nuove voci si levino apertamente a sfidare le convenzioni. Non è un caso che questo accada di nuovo in Francia, dove l’esistenzialismo esaltava, fin dalla liberazione di Parigi, le scelte individuali. Nel 1966 esce a Parigi “Thérèse et Isabelle”, di Violette Leduc, un piccolo libro che contiene la storia d’amore tra due liceali, parte di un romanzo autobiografico pubblicato qualche anno prima, ma censurato nei suoi aspetti ritenuti più crudi e improponibili. Violette Leduc, donna e scrittrice di assoluta originalità, è forse la prima nella cultura europea a conferire status letterario alla scrittura dell’eros, sottraendola al sottogenere della pornografia. Scrittrice autentica e perciò non facile, Leduc fu una grande irregolare: bisessuale, si innamorava di donne etero o di uomini gay, conosceva quindi bene gli amori infelici, ma le sue storie sfidano il moralismo e raggiungono spesso l’altezza della poesia, e il suo coraggio fa di lei una precursora. Anni dopo, la scrittrice americana Kate Millett (autrice di romanzi di grande successo negli anni ’70 e ’80) dirà: «Non avrei potuto scrivere In volo se prima di me non ci fosse stata Violette Leduc. … Penso che ‘uscire dall’armadio’ mi abbia dato la possibilità di vivere la mia vita … mi ha fornito l’occasione di restare povera e non rispettabile. Non essere rispettabile è la cosa più importante. La rispettabilità è un disastro»1.
Come già detto, gli anni ’60 e ’70 segnano l’inizio di un’epoca nuova. I neri, le donne, i giovani, gli omosessuali, tutte le cosiddette minoranze, reclamano diritti e libertà, prendono la parola. È una rivoluzione pacifica, ovviamente difficile, e le sue conquiste non sono mai sicure, ma è di grande importanza. Uno degli effetti del femminismo è che si apre, nel mondo occidentale, un grande spazio di discussione ed espressione sulla sessualità, l’affettività, il corpo, l’eros. La letteratura ovviamente gioca in questo una parte di rilievo. Le voci più importanti che si levano a esplorare e celebrare l’amore tra donne vengono dall’America, e tra esse segnalo in particolare quelle di Adrienne Rich e Audre Lorde, che scrissero entrambe sia in versi sia in prosa. Le due scrittrici, che nella vita personale furono grandi amiche e trassero forza dal confrontarsi una con l’altra, erano l’una (Rich) bianca e di ascendenza ebraica, l’altra (Lorde) nera, figlia di migranti caraibici. Qui si comincia veramente a comprendere come un vero discorso sull’affettività e la sessualità tra donne comporti un allargamento di orizzonti e non possa prescindere dalla presa in considerazione di altre differenze (di razza, classe, cultura, età, religione ecc…) Quello che emerge dagli scritti di Rich e Lorde è la consapevolezza che, nel momento in cui una donna osa sottrarsi alle norme sociali che le impongono di pensare a se stessa soltanto in relazione all’uomo (come moglie, compagna, madre, o anche come eguale dell’uomo in senso acriticamente emancipatorio), allora scopre un intero mondo dentro di sé e nelle altre, un mondo fatto di differenze, che possono anche essere difficili da affrontare, ma che sono portatrici di ricchezza. L’amore e la sessualità non sono più il mitico e mistico ‘realizzarsi’ nell’unione con l’uomo, in cui la donna gioca il ruolo passivo di recipiente della pienezza e attività maschile, bensì diventano libertà, scoperta, creazione di nuovi linguaggi che possano superare i vecchi conflitti e le vecchie paure.
Audre Lorde è stata una figura importante nei movimenti americani per la liberazione delle donne, dei neri, degli omosessuali. Il suo lavoro, recentemente tradotto in italiano, è per molti versi anticipatore di problemi e questioni che stiamo affrontando anche oggi. «L’erotico – dice Audre Lorde – è stato spesso definito in modo erroneo dagli uomini, che lo hanno usato contro le donne. E’ stato ridotto a un insieme di sensazioni confuse, triviali, psicotiche e plastificate … (e) l’abbiamo confuso con il suo opposto, il pornografico. Ma la pornografia è la negazione diretta del potere dell’erotico, perché rappresenta la soppressione del sentire autentico. … L’erotico si colloca tra l’inizio del nostro senso di sé e il caos del nostro sentire più profondo. E’ un senso di soddisfazione interiore al quale, una volta sperimentato, sappiamo di poter aspirare. Perché dopo aver sperimentato la pienezza di questo sentire profondo e averne riconosciuto il potere, noi non possiamo, in onore e rispetto di noi, pretendere di meno da noi stesse. … In contatto con l’erotico, io divento meno disponibile ad accettare l’impotenza, o quegli altri stati dell’essere che mi vengono messi a disposizione ma non sono connaturati a me, come la rassegnazione, la disperazione, la cancellazione di sé, la depressione, l’auto-negazione»2. Nella sua narrazione autobiografica “Zami”, Lorde racconta i suoi primi venticinque anni di vita, i conflitti con la madre, il senso di non appartenenza a nessun gruppo, la scoperta dell’amore per le donne e della sessualità come momenti fondanti della sua integrità e libertà.
Se la grande ondata di femminismo americano degli anni ’70 produce molta letteratura che esalta le qualità positive dell’amore e dell’amicizia fra donne, non mancano però le voci che mettono l’accento sui problemi e i conflitti, sulla violenza che spesso le donne subiscono e su quella che può esistere anche all’interno dei rapporti più importanti della nostra vita, con i genitori, con le persone amate. Tra le autrici che meglio hanno dato voce a queste tematiche è Dorothy Allison; la sua scrittura è forte, coraggiosa, autentica: «Credo che il segreto dello scrivere sia che la miglior fiction arriva fin dove arriva il coraggio dello scrittore, e non oltre. – dice Allison – La miglior fiction viene dal luogo dove si nasconde il terrore, dall’orlo dei vostri peggiori incubi. … Io non scrivo per gente perbene. Io non sono una persona perbene. Né lo sono quelli di cui mi importa nella vita»3.

In Inghilterra, l’amore lesbico fa ufficialmente il suo rientro nel mainstream letterario, dopo “Il pozzo della solitudine”, negli anni ’90 con Jeannette Winterson, il cui primo libro, “Non ci sono solo le arance”, è il racconto grottesco, divertente e doloroso della scoperta di sé da parte di un’adolescente, dei suoi primi amori per altre ragazze e del terribile conflitto con una madre che professa una religiosità feroce e repressiva. Il tabù che imponeva di non parlare di ‘certi argomenti’ si sgretola rapidamente, e presto le scrittrici introducono personaggi e tematiche lesbiche nei romanzi, soprattutto quelli definiti di genere: il giallo (cito soltanto la norvegese Anne Holt, la cui protagonista è una detective tostissima che ama le donne), il romanzo storico (basti pensare a Sarah Waters, le cui gotiche, o barocche, trame girano spesso attorno ad amori tra donne).

Contemporaneamente, personaggi omosessuali, uomini e donne, o transessuali, cominciano ad apparire nel cinema e nelle fiction televisive. Questo non significa che di amore e sessualità tra donne si possa ormai parlare tranquillamente, soprattutto in Italia, né tantomeno che si sia detto tutto, e spesso accade che i libri che trattano questo argomento vengano considerati in una categoria a parte, riservata a un pubblico di nicchia: in altre parole, mentre dalla lettrice lesbica o dal lettore omosessuale o transessuale ci si aspetta che sia in grado di cogliere l’universale in una storia d’amore etero (per esempio, commuoversi per Romeo e Giulietta), il lettore etero o i critici che ne sono portavoce fanno a se stessi il torto di ritenersi molto meno capaci di attingere all’universale che può essere contenuto in una storia d’amore non eterosessuale.
Forse le cose stanno cambiando, pur in modo molto conflittuale. Da un lato si pensa, si legge, si parla, si vive, con più libertà, apertura e considerazione per gli altri – ma ci sono anche sacche di resistenza molto forti, arroccamenti a volte profondamente ipocriti su una ‘morale’ della condanna e dell’esclusione – e c’è, naturalmente, la presenza molto vicina a noi di ideologie e religioni che rifiutano quelle che per noi sono conquiste e manifestazioni di libertà. Forse perché risente maggiormente di queste contraddizioni, e perché le donne italiane non possono contare su una forte storia di emancipazione, l’Italia non ha dato molti contributi letterari su questi argomenti.
Tra le scrittrici italiane, ricordo Sara Zanghì, che si distingue per il tono caloroso e coraggioso della sua scrittura, e che nel volume a carattere autobiografico “Nebris” racconta la storia della giovane Tonia, che sceglie la fedeltà a se stessa anche a costo di sentirsi ‘sbagliata’ agli occhi degli altri, e sente in sé un rifiuto irriducibile a parlare il linguaggio della normalità eterosessuale così come quello della connivenza con la propria classe sociale. Quando infine si innamora di una compagna d’università, Rosa, l’accettazione è immediata e totale: «Ho creduto di non essere capace di amare, fino a quando mi sono innamorata di Rosa – dice Tonia alla madre – … non avevo mai pensato di potermi innamorare di una donna … e sai qual è stata la prima reazione? Di felicità, di pura felicità.»
Per alcuni anni a partire dal 2003, Mondadori ha pubblicato la raccolta “Principesse Azzurre”, curata da Delia Vaccarello e dedicata proprio al tema dell’amore tra donne, a cui hanno contribuito scrittrici italiane affermate ed esordienti. Oggi le lettrici che desiderino trovare libri che parlino di amicizia, amore e sesso tra donne hanno, anche in Italia, molte più opportunità che in passato; ma consiglio loro di non fermarsi ai romanzi che suscitano la sensazione di un momento, e di andare a cercare queste altre scrittrici di cui ho parlato, voci forse meno immediate, ma spesso più profonde e risonanti.

Note:
[1] Rivista “Masques”, autunno 1982, intervista a Kate Millett
[2] Da: “Usi dell’erotico. L’erotico come potere” in Lorde, A. (2014), Sorella Outsider, Il Dito e La Luna
[3] Da: “Survival Is The Least Of My Desires” (“La sopravvivenza è l’ultimo dei miei desideri”), in Allison, D. (1994), Skin

Bibliografia

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