Le rappresentazioni dell’intersessualità: tra visibilità e stereotipi nella letteratura

A cura di Daniela Crocetti, Ph.D. in Science, Technology and Humanities, Università degli Studi di Bologna.

Obiettivo di questo articolo è esplorare come la produzione culturale racconta l’intersessualità e discutere alcuni degli stereotipi e pregiudizi su questa esperienza a partire da due romanzi sul tema reperibili in italiano: “Middlesex” e “Golden Boy”.

“Middlesex” dello scrittore statunitense Jeffrey Eugenides è il primo romanzo in lingua italiana che parla di intersessualità ed è stato pubblicato nel 2003. È una saga familiare che segue le vicende della famiglia Stephanides tra la Grecia – da cui negli anni ’20 del ‘900 fuggono i fratelli Letfy e Desdemona – e gli Stati Uniti – dove i due decidono di stabilirsi e, infrangendo divieti consolidati, di sposarsi.
La protagonista del libro è Cal – nipote dei due – a cui in adolescenza viene diagnosticato il deficit di 5α-reduttasi ovvero una sindrome per la quale il corpo – nonostante siano presenti cromosomi cosiddetti maschili XY – si sviluppa in maniera ‘femminile’ a causa dell’assenza dell’enzima che converte il testosterone nella sua forma ‘attiva’, il DHT (Diidrotestosterone). La diagnosi di intersessualità diventa il motore narrativo per esplorare il percorso di crescita di Cal attraverso gli stereotipi omofobi e di genere presenti nella società occidentale e per offrire un affresco familiare dove l’affetto fatica a vincere sui pregiudizi e sulla vergogna. Cal, come molte persone intersessuate nella realtà, è oggetto di molteplici esami medici e viene spinta – dai medici e dai genitori – a sottoporsi ad interventi chirurgici e terapie per ‘normalizzare’ il suo corpo ‘da donna’ poiché questa sindrome può portare – con l’aumento del livello ormonale durante la pubertà – ad una ‘mascolinizzazione’ dei tratti somatici. La strada scelta dalla protagonista, però, è opposta: rifiutare la medicalizzazione e iniziare un viaggio – metaforico e reale – alla ricerca di sé mettendo in discussione – talvolta molto faticosamente – le dicotomie tra sesso e genere e ricostruendo la sua genealogia familiare.
“Middlesex” e’ una bella saga familiare, che introduce il tema dei traumi provocati dalla mancata comunicazione tra medici, genitori e figli e l’assenza di autodeterminazione delle persone intersex. Il libro, tuttavia, contiene anche alcuni stereotipi di cui è bene essere consapevoli per comprendere al meglio questa esperienza. In primo luogo la diagnosi di Cal viene collegata alla consanguineità dei nonni: sebbene sia in parte vero che la consanguineità può essere un fattore di rischio, questo non rispecchia le esperienze della stragrande maggioranza delle persone intersex e delle loro famiglie e rischia di riprodurre uno stigma sociale che non ha fondamento. In secondo luogo, la transizione della protagonista da un’identità di genere femminile ad una maschile e la sua relazione con un’amica viene descritta come la scoperta della ‘sua vera natura biologica’ perdendo l’occasione di raccontare la complessità di relazioni che possono esservi tra identità, corpo biologico e orientamento sessuale. La confusione tra orientamento sessuale e identità di genere, infatti, ha oscurato a lungo i reali desideri delle persone intersessuate. Laddove, infatti, una persona, diagnosticata con una qualche forma di intersessualità, dimostri un orientamento omosessuale si mette in discussione la sua identità di genere senza consultarne il parere. Se, dunque, come nel caso della protagonista del romanzo, alcune persone possono decidere di identificarsi con il genere opposto a quello con cui sono state cresciute, altre vorrebbero mantenere l’identità di genere assegnata loro alla nascita, anche quando si sentono attratte da persone del loro sesso.

Dieci anni dopo “Middlesex”, nel 2014 è stato pubblicato “Golden Boy” dell’esordiente Abigail Tarttelin. “Golden Boy” racconta la storia di Max adolescente ‘d’oro’ – gentile, corteggiato dalle ragazze, eccellente a scuola, ottimo calciatore – e della sua famiglia – borghese e progressista – alle prese con una diagnosi d’intersessualità. Diversamente da “Middlesex”, però, la diagnosi non arriva in adolescenza, ma alla nascita e il comportamento dei genitori non è di medicalizzazione, ma di accoglienza della diversità di cui il figlio è portatore. Nonostante queste premesse positive, però, a complicare il quadro (e forse a renderlo più realistico) ci sono l’ingresso in adolescenza di Max, e tutto quello che ciò comporta in termini di esplorazione di sé e dei rapporti (anche erotici ed affettivi) con gli altri, e la campagna elettorale del padre per la quale ‘il segreto’ di Max deve rimanere tale per evitare la vergogna e la stigmatizzazione sociale. Alcuni fatti drammatici, però, obbligheranno tutti a fare i conti con questa esperienza e a rompere il silenzio.
Da un lato, l’autrice racconta con acume e tatto come la vergogna nata dalla stigmatizzazione della propria diversità possa portare una persona a subire violenze (fisiche e psicologiche) e, soprattutto, a sentirsi colpevole delle violenze subite. Come ci hanno insegnato moltissimi attivisti intersex, infatti, l’idea che l’intersessualità sia qualcosa di cui vergognarsi e che deve essere nascosta ad ogni costo è la cosa che provoca i traumi maggiori: è la stigmatizzazione sociale sulla diversità a creare sofferenze e non la diversità del proprio corpo. Dall’altro, però, proprio per la scelta di utilizzare un fatto estremamente drammatico (in questo caso una violenza sessuale) per dare il via al percorso di riflessione su di sé di Max e dei suoi familiari, si corre il rischio di perpetrare degli stereotipi sulle persone intersex, annoverando le loro esperienze di vita sempre e comunque nell’ambito del drammatico senza lasciare spazio per narrazioni meno sensazionali e appetibili dal punto di vista letterario, ma forse più veritiere.
E’ però pregevole che l’autrice racconti le esplorazioni identitarie del protagonista senza necessariamente fare riferimento alla ‘fluidità di genere’ (il cosiddetto ‘continuum’ tra maschile e femminile): in alcuni casi, infatti, la narrativa ha raccontato l’esperienza dell’intersessualità collegandola ad un’attitudine genderqueer ovvero un’identità o un comportamento di genere fluido tra maschile e femminile che invece non corrisponde necessariamente a come si sentono le persone intersex.
In questo senso la letteratura può essere un buon strumento per creare immaginario, rompere il silenzio e sfidare la vergogna attorno all’esperienza dell’intersessualità. Allo stesso modo, però, a fronte di un’esperienza poco conosciuta come quella dell’intersessualità, l’immaginazione letteraria può creare dei fraintendimenti rispetto alle reali esperienze delle persone intersex: questo articolo vuole essere una bussola per orientarsi tra questi due aspetti.

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