Orientamento sessuale: storia di un concetto moderno

A cura di Beatrice Gusmano, sociologa, Gruppo di redazione.

L’orientamento sessuale è una delle componenti dell’identità sessuale, insieme a sesso biologico, identità di genere e ruolo di genere. Questi elementi costituiscono la percezione che ogni individuo ha della propria identità come essere sessuato, di come considera se stesso e di come desidera essere considerato dall’esterno. Tale complessa rappresentazione della sessualità è però cambiata nel corso della storia, così come è cambiata la concezione di ciò che si ritiene ‘sessuale’, tanto che quello che intendiamo oggigiorno con l’espressione ‘orientamento sessuale’ risale solamente alla seconda metà dell’800: la stigmatizzazione dell’omosessualità, infatti, è servita per definire l’eterosessualità come forma data per scontata ed universale di sessualità. Forse non tutte e tutti sanno che i termini ‘omosessualità’ ed ‘eterosessualità’ si plasmano solo all’interno dei nascenti Stati-nazione, quando le scienze prendono il posto della religione nel condannare determinati comportamenti e nel definire i confini della normalità.
La prima apparizione su carta stampata della parola ‘omosessuale’ si attribuisce a Károly Mária Benkert, scrittore ungherese anche chiamato con il nome tedesco Karol-Maria Kertbeny, autore nel 1869 di un pamphlet anonimo contro la proposta di accogliere nell’ordinamento prussiano una legge anti-sodomia. Anche il termine ‘eterosessuale’ viene coniato in quel contesto per definire l’attrazione sessuale tra persone di sesso diverso. La diffusione dei termini ‘omosessuale’ e ‘eterosessuale’ tra gli esperti medici per indicare una netta divisione identitaria tra persone omosessuali ed eterosessuali si deve al libro del 1886 dello psichiatra e neurologo tedesco Richard von Krafft-Ebing, “Psychopathia sexualis” – in cui, peraltro, compare anche il termine ‘lesbica’. Bisognerà invece aspettare il volgere del secolo affinché anche il termine ‘bisessuale’, prima utilizzato per definire le persone ermafrodite, acquisisca il significato che gli attribuiamo ora di attrazione sia per il sesso femminile che per quello maschile.

Sebbene non sia facile ripercorrere i significati che nella storia occidentale sono stati dati al comportamento omosessuale, su un aspetto c’è piena condivisione: prima dell’800 non esisteva nel senso comune la concezione di ‘orientamento sessuale’, e il mondo non era nettamente diviso tra eterosessuali e omosessuali. Inoltre, per quel che riguarda le relazioni tra donne, è importante in primo luogo tenere in considerazione un dato di fatto fondamentale, ovvero che la Storia – della sessualità così come di tutti gli altri ambiti della vita – è stata scritta fino a tempi molto recenti solo dagli uomini e sugli uomini: questo fa sì che, ad oggi, sia ancora difficile rinvenire documenti che riportino narrazioni d’amore di donne per altre donne. Il neologismo ‘lesbian herstory’ definisce proprio lo sforzo fatto nell’ultimo mezzo secolo da storiche, teoriche femministe e attiviste per ricostruire le storie lesbiche del passato. L’eccezione più conosciuta a questa invisibilizzazione risale alla Grecia Antica, in particolare al VI secolo a.c., periodo in cui Saffo visse a Lesbo: dalla poetessa e dall’isola derivano infatti i due aggettivi più diffusi per definire le donne lesbiche che intraprendono rapporti saffici.

Gli studi storici e antropologici occidentali hanno suddiviso l’interpretazione delle relazioni omoerotiche in tre momenti che si sovrappongono, dato che la divisione ha una finalità prettamente analitica ma i passaggi storici sono molto più graduali e lenti rispetto alle date simboliche che vengono scelte per fissarli, e alcuni modelli permangono nel tempo a seconda della cultura di riferimento o della classe sociale di appartenenza.

Il primo modello di relazione omoerotica individua come discrimine l’età. Ad esempio nell’antica Grecia, i rapporti sessuali omoerotici facevano parte dell’iniziazione alla vita adulta dei giovani maschi e costituivano un rito di passaggio nell’acquisizione della virilità: avvenivano tra un uomo adulto libero, che ricopriva il ruolo penetrativo, quindi considerato attivo, e un adolescente libero nel ruolo ricettivo, quindi considerato passivo. Tali rapporti prevedevano una forte disparità di potere e di prestigio, confermata anche dalla differenza di ruoli che segnalava la diseguaglianza sociale: in questo periodo storico, dunque, l’opposizione non era tanto tra persone omosessuali ed eterosessuali (concetti che all’epoca non esistevano), quanto tra una sessualità attiva, esercitata da uomini adulti e liberi, e una sessualità passiva, espressa da soggetti considerati inferiori quali donne e adolescenti. Anche nella Firenze rinascimentale riscontriamo il tipo di relazione omoerotica caratterizzata da una forte disparità di età: le fonti storiche ci trasmettono frequenti relazioni nel campo delle arti tra maestro adulto e giovane allievo.

Il secondo modello di relazione omoerotica, che si afferma nel discorso pubblico a partire dalla seconda metà dell’800, è il paradigma dell’inversione di genere come malattia e come perversione. La novità di questo paradigma risiede nell’interpretazione dell’inversione in quanto malattia mentre, in altri periodi storici e contesti geografici, l’inversione di genere è considerata legittima e dà luogo a soggetti riconosciuti socialmente: alcuni esempi sono i Berdache nell’America settentrionale, i Ciukci nella Siberia settentrionale e i Daiacchi nel Borneo, ovvero giovani uomini che rivestono il ruolo sociale di donna e ricoprono a volte ruoli di prestigio. Questo paradigma segna un cambio epocale di prospettiva in cui il soggetto omosessuale inizia a essere considerato una specie a sé stante su cui la società può agire forme di controllo al fine di ricondurre dentro ai rigidi confini di genere i soggetti considerati malati. Esso permane ancora oggi, quando si confonde l’orientamento sessuale con l’identità di genere, o quando si associano all’omosessualità caratteristiche che nulla hanno a che fare con l’orientamento sessuale, come ad esempio la predisposizione alla perversione e alla menzogna per ambo i sessi, la sensibilità e la dolcezza negli uomini omosessuali, la scontrosità nelle donne lesbiche.
Prima della seconda metà dell’800, il diritto canonico e le leggi colpevolizzavano gli atti omosessuali attraverso le definizioni di ‘peccato‘ e ‘reato‘ che comportavano sanzioni e punizioni corporali nei confronti di chi si macchiava di tale atto. Le scienze che si affermano in questo periodo (pedagogia, medicina e psicologia), tuttavia, vanno oltre la condanna di un mero comportamento, fino a quel momento considerato accidentale nella vita di qualunque individuo, e intraprendono il tentativo di classificare le persone considerate intrinsecamente devianti: attraverso la patologizzazione e la ricerca dell’origine di quella che viene considerata una vera e propria malattia avviene il passaggio da ‘comportamenti’ a ‘soggetti’ devianti.
In questo periodo si afferma l’idea che non è solo la sessualità non finalizzata alla riproduzione che deve essere condannata, ma che particolare attenzione deve essere prestata proprio all’oggetto del desiderio, ovvero a chi prova desiderio per persone del proprio stesso sesso, in quanto è attraverso questo desiderio che vengono messi in discussione i rigidi confini di genere e i ruoli nella società. Prende forma un’interpretazione della relazione omoerotica che ricalca il modello eterosessuale, in cui quindi gli uomini omosessuali vengono considerati non solo invertiti in quanto effeminati, ma malati in quanto rinunciano al proprio potere e ricoprono un ruolo passivo all’interno della coppia. Allo stesso modo, le donne che intraprendono relazioni con donne vengono considerate mascoline (e dunque malate) in quanto osano sottrarsi al potere maschile che le vuole subordinate nello spazio domestico, votate alla famiglia e alla maternità e assenti nello spazio pubblico. All’interno di una relazione omoerotica, dunque, solo uno dei due componenti viene considerato perverso, ovvero quello che disconosce i confini di genere: l’uomo effeminato (ma non l’uomo attivo), da un lato, e la donna mascolina (ma non la donna passiva), dall’altro.

Le condizioni sociali che hanno permesso l’affermarsi di un sistema teso a disciplinare il soggetto omosessuale sono da ricondurre ai grandi cambiamenti comportati dai processi di industrializzazione e urbanizzazione: la presenza maschile nell’arena pubblica viene messa in discussione dall’entrata nel mondo del lavoro delle donne. Di fronte a questo cambiamento, il potere che in quell’epoca si era sempre retto su una divisione netta tra i generi (e tra gli spazi che maschi e femmine occupavano) si sente minacciato, e corre ai ripari: sono da condannare sia l’uomo che rinuncia al proprio privilegio comportandosi da ‘femmina’, sia qualunque donna che osi sfidare il controllo maschile comportandosi da uomo. Da notare che le donne che hanno relazioni con altre donne vengono rappresentate non solo come virili, ma anche come prostitute (in quanto provano piacere nell’avere relazioni erotiche): non era al tempo concepibile, infatti, che una donna volesse provare piacere, per di più con un’altra donna, motivo per cui si pensava che dovesse avere delle disfunzioni che le facevano provare un desiderio maschile (cioè un desiderio sessuale verso una donna) in un corpo femminile; non a caso, spesso queste donne vestivano abiti maschili per poter vivere le proprie relazioni al di fuori delle mura domestiche (e per poter occupare uno spazio pubblico che altrimenti sarebbe stato loro negato).

Il terzo modello di relazione omoerotica fa riferimento alle relazioni egualitarie, in cui non vi è differenziazione di ruoli ma uno status sociale simile tra le/i partner (in cui quindi non vi è gerarchia all’interno della coppia). Benché la storia ci consegni diffuse testimonianze di relazioni egualitarie, è nella seconda metà del ‘900 che si affermano alcuni cambiamenti culturali, storici ed economici che comportano la legittimità sociale delle relazioni egualitarie, tanto tra le persone eterosessuali che tra quelle omosessuali: l’innalzamento del livello di istruzione, il boom economico, l’aumento del tasso di lavoro retribuito delle donne, l’affermarsi di valori anti-autoritari e, soprattutto, la messa in discussione della rigidità dei ruoli di genere (e quindi il venir meno del cosiddetto binarismo di genere).
Questo punto di svolta viene portato allo scoperto da un interessante quanto controverso studio condotto nell’America degli anni ’50 da Alfred Kinsey. Kinsey, biologo che inizia a interessarsi di sessuologia, conduce in quegli anni la prima ricerca empirica su larga scala sul comportamento sessuale umano, facendo emergere dati rispetto alle pratiche sessuali non finalizzate alla riproduzione, tanto inaspettati per l’epoca quanto statisticamente e culturalmente rilevanti. Attraverso migliaia di interviste a uomini e donne di diverse classi sociali statunitensi, Kinsey e la sua équipe hanno messo in luce come pratiche sessuali quali la masturbazione, la sessualità al di fuori del matrimonio o le esperienze omosessuali, non siano atti compiuti da persone malate e perverse, ma siano presenti nella vita della maggior parte degli individui. Rispetto all’orientamento sessuale, il rapporto Kinsey è il primo a mettere in discussione la rigidità della dicotomia ‘omosessuale’ / ‘eterosessuale’ e ad allargare i confini di due prototipi che venivano interpretati come vicendevolmente escludenti: dalla ricerca emerge come la maggior parte delle persone intervistate si collochi lungo un continuum i cui estremi (il comportamento esclusivamente eterosessuale e quello esclusivamente omosessuale) non sono tanto abitati quanto le sfumature che intercorrono tra questi estremi (la famosa ‘scala di Kinsey’). Evidenziando la continuità tra omosessualità ed eterosessualità emersa dalle interviste, Kinsey apre dunque la strada alla depatologizzazione dell’omosessualità che troverà riscontro nella decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di rimuovere l’omosessualità dalla Classificazione Internazionale delle Malattie il 17 maggio 1990. La data, per il suo portato simbolico di cambiamento, viene ricordata ogni anno attraverso la “Giornata Internazionale contro l’Omofobia e la Transfobia” (IDAHOT)

Un’altra data simbolica che contribuisce a ridefinire il concetto di orientamento sessuale in termini positivi è il 28 giugno 1969, giorno di inizio a New York della rivolta di Stonewall, momento a cui si ascrive la nascita dei movimenti lesbici, gay e trans. L’orientamento sessuale inizia a essere pubblicamente visibile, ed emerge la differenza tra le specificità: il termine ‘gay’ diviene un marchio di orgoglio, grazie anche al suo significato di ‘gaio’; allo stesso tempo, la parola ‘lesbica’ inizia a essere utilizzata per esplicitare la differenza con l’esperienza gay maschile.

In conclusione, da questa rapida panoramica emerge chiaramente come sia il contesto culturale e storico di riferimento che assegna, di volta in volta, diverse accezioni e diverse sanzioni all’orientamento sessuale: cambiando il modello di riferimento, di conseguenza cambiano anche il peso discriminatorio e il potenziale liberatorio insiti nella rappresentazione sociale delle esperienze sessuali, identitarie e affettive degli individui.

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