Politiche di welfare e persone LGBT

A cura di Chiara Saraceno, Honorary Fellow al collegio Carlo Alberto di Torino.

Il sistema di welfare riguarda l’insieme delle misure di sostegno economico e di offerta di servizi che forniscono protezione agli individui e alle famiglie rispetto ai diversi rischi cui possono incorrere: malattia, disoccupazione, vecchiaia, costo dei figli, necessità di conciliare cure familiari e partecipazione al lavoro remunerato e così via. I sistemi di welfare differiscono tra loro, da un paese all’altro, per ampiezza e tipo dei rischi che coprono, per grado di universalismo, piuttosto che selettività e/o categorialismo e per grado di generosità.

Ha senso parlare di politiche di welfare specifiche per le persone LGBT, o si tratta piuttosto di considerare se, e in che misura, le persone LGBT e/o i loro familiari siano escluse di fatto o di principio da determinate politiche di welfare, nazionale o municipale, pubblico o privato (aziendale, assicurativo)? Probabilmente sono necessari entrambi gli approcci. Comunque vale la pena di rifletterci, senza dare nulla per scontato.

Incomincerò dal secondo, apparentemente più semplice, sia concettualmente, sia a livello descrittivo. Ci sono degli ambiti di welfare da cui le persone LGBT sono escluse in quanto tali, in Italia? La risposta è positiva e riguarda situazioni in cui oggetto del welfare sono relazioni – di coppia o di generazione – più che l’individuo singolo. Esse dipendono dal mancato riconoscimento di uno statuto legale alla coppia e al genitore non biologico. Riguardano la pensione di reversibilità (non estendibile al compagno/a, e tantomeno ai suoi genitori in caso di necessità, ma neppure ai figli non biologici e non riconoscibili come propri legalmente). Riguardano l’impossibilità di far valere i figli che non si sono potuti riconoscere come componenti della famiglia ai fini dell’ottenimento degli assegni al nucleo familiare, o per fruire delle detrazioni per figli a carico (anche se questa impossibilità può essere più che compensata dal fatto che il reddito del compagno/a non rientra nel calcolo del reddito familiare e che l’unico genitore legale può fruire dell’intera detrazione). In parte le persone LGBT condividono questa situazione (ad esempio nel caso della pensione di reversibilità) con le coppie di sesso diverso che non sono sposate. Ciò non vale, tuttavia, nel caso dei figli (della coppia dello stesso sesso). Da quando, infatti, sono state eliminate tutte le differenze tra figli naturali e legittimi, gli unici figli a non essere equiparati e ad essere destinati a rimanere orfani di un genitore (quindi anche mancanti di tutto un ramo parentale, ad esempio dal punto di vista ereditario) sono i figli delle coppie dello stesso sesso o di una coppia in cui vi sia un partner transessuale, se non ha compiuto fino in fondo la transizione fisica all’altro sesso e quindi non ha potuto modificare lo stato civile. Sono i figli, quindi, ad essere maggiormente svantaggiati. Come disse Carlo Moro, giudice minorile, alcuni decenni fa a proposito dei figli naturali, essi sono singolarmente protetti in un paese in cui gran parte della protezione dei minori è affidata alle famiglie, anche allargate alla parentela (vedi la figura dei ‘familiari tenuti agli alimenti’, prevista dall’art. 433 del codice civile).
In altri settori la situazione è più a macchia di leopardo e con forti differenziazioni locali, (ad esempio nell’accesso all’edilizia popolare, sempre da parte di coppie, dato che i singoli non hanno quasi possibilità di accesso e comunque non verrebbe loro richiesto il loro orientamento sessuale). Per quanto riguarda il riconoscimento del diritto ad essere accompagnati e a far valere il proprio diritto e responsabilità di compagni/e nei luoghi di cura sanitaria mi risulta che, almeno sul piano formale, non esistano più discriminazioni, anche se il fatto di essere una coppia non è garantito automaticamente dal fatto di essere in una unione legale, quindi sempre vulnerabile (come per le coppie non sposate di sesso diverso). Ancor di più, paradossalmente, il riconoscimento dei diritti di coppia vale nel diritto penale, che riconosce i diritti di visita, quindi di solidarietà e cura, ai compagni/e allo stesso modo dei coniugi, a prescindere dal sesso (art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e art. 37 del D.P.R 30 giugno 2000, n. 230).
Variegato anche il settore del welfare aziendale, dove si passa da contratti (all’Ikea, in Telecom, in Intesa San Paolo) che riconoscono il congedo matrimoniale a tutte le coppie, a prescindere dal sesso e dallo status legale, ad altri che non riconoscono neppure, nel proprio sistema sanitario aziendale, le cure di maternità (esami medici, cure ospedaliere) alle compagne dei propri dipendenti, se non sono sposati. Queste discriminazioni si configurano anche come vere e proprie discriminazioni reddituali, dato che incidono su fringe benefits (ovvero elementi complementari alla retribuzione principale che consistono sostanzialmente nella concessione in uso di beni o servizi) economicamente non irrilevanti.

Quanto alla necessità di politiche di welfare specifiche per le persone LGBT, mi verrebbe da dire, ma la riflessione è aperta, che occorrerebbe innanzitutto sensibilizzare i servizi (i consultori familiari, l’assistenza sociale) all’esistenza di queste persone e ai problemi che possono incontrare nel corso della vita. C’è qui un ampio spazio non solo per l’iniziativa e la responsabilità della scuola e degli insegnanti, ma anche dei dirigenti dei servizi. È, quindi, importante l’impegno degli enti locali, in quanto garanti della qualità dei servizi sui territori di loro competenza. Un discorso a parte va fatto per le persone transessuali, sia nel corso del processo di transizione da un sesso all’altro, sia al suo compimento, se si compie, o nello stato in cui decidono di rimanere. Più che tendere a favorire e controllare una socializzazione (con forti rischi di stereotipia) al genere (più che al sesso) di arrivo, come ancora avviene, i servizi dovrebbero accompagnare e sostenere un processo che per forza di cose avviene ‘in pubblico’. Esso perciò richiede forti capacità di elaborazione, mediazione, collocazione di sé, da parte della persona coinvolta, ma anche comprensione e accompagnamento da parte del suo intorno sociale: famiglia, scuola, ambiente di lavoro, amicizie .
In alcuni paesi, infine, è stata messa a fuoco la questione della vecchiaia delle persone omosessuali, che, almeno per chi è anziano oggi, sembra essere caratterizzata da maggiori rischi di solitudine e di mancanza di reti familiari rispetto alle persone eterosessuali, anche se ciò, come per gli eterosessuali non (più) coniugati, vale più per i maschi che per le femmine. Allo stesso tempo, se sono in coppia, alle persone omosessuali è più difficile trovare ospitalità in case di riposo rispetto a coppie anziane di sesso diverso. Perciò, ad esempio in Germania, in collaborazione tra pubblico e privato si stanno organizzando case di riposo specificamente destinate alle persone omosessuali.
Sono prime riflessioni, che dovranno essere approfondite, integrate, anche criticate.

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on Google+Pin on PinterestEmail this to someonePrint this page

Questo sito utilizza cookies tecnici e di terze parti. Se non accetti i cookies alcuni contenuti potrebbero non essere visibili. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi