“Nessuno Uguale”: l’orientamento sessuale tra gli/le adolescenti. Intervista a Claudio Cipelletti, regista del film

A cura di Mara Pieri, sociologa, Gruppo di redazione.

Alla fine degli anni ’90, su iniziativa di Agedo (Associazione di Genitori, parenti e amici di persone LGBT), nasce Nessuno uguale, un documentario che parla di orientamento sessuale, pregiudizi e coming out con adolescenti di varie scuole superiori milanesi e giovani gay e lesbiche. Il documentario è tuttora utilizzato come strumento educativo, grazie alla grande capacità di raccontare che cosa significa essere ‘diverso/a’ nell’età adolescenziale. Ora il documentario è a disposizione su questo portale. Ne abbiamo pertanto parlato con Claudio Cipelletti, regista del film.

Da che cosa è nata l’idea di “Nessuno uguale” e quale è stato il background del progetto?

“Nessuno uguale” è nato nel 1997-1998. In quel momento, Agedo aveva aperto un primo canale di lavoro con Gustavo Pietropolli Charmet, psicologo dell’età adolescenziale, per fare un convegno su adolescenza e omosessualità. Si trattava di un’assoluta novità abbinare il discorso dell’adolescenza e quello dell’omosessualità, sembrava inopportuno e anche scandaloso, come se l’omosessualità fosse una condizione che non appartiene alla adolescenza ma ad altre età. In quel contesto, Paola dall’Orto – la fondatrice di Agedo – mi invitò a progettare un video con lo scopo strategico di raggiungere le famiglie, perché era difficilissimo per Agedo avere la possibilità di incontrare gli altri genitori con figli e figlie omosessuali: i genitori avevano paura a mostrarsi, a confrontarsi, c’era moltissima difficoltà e omertà. Quindi è nata l’idea di entrare nelle scuole, contattare i ragazzi e le ragazze e iniziare a lavorare con loro, che comunque sono molto più avanti – come sempre – sulle cose che li riguardano direttamente. Il lavoro è iniziato in questo modo, e abbiamo potuto sviluppare il progetto con la Provincia di Milano, l’allora Servizio Audiovisivi Medialogo che ha creduto nell’operazione.

Il video fa dialogare tra loro storie parallele di giovani gay e lesbiche e di adolescenti che si trovano a parlare di omosessualità: come è stato costruito il rapporto con loro che ha poi permesso che si raccontassero con tanta naturalezza?

Un presupposto fondamentale è stato di concentrarci sull’adolescenza, e quindi su quello che l’adolescenza comporta: entrare nel mondo adulto, confrontarsi con gli adulti e con i pari, costruendo ‘chi sono io’, cioè la mia identità di persona nel mondo, con la paura del giudizio che accomuna tutti. Partendo dall’idea che questa è l’atmosfera in cui ogni adolescente si muove, il discorso sull’omosessualità nell’adolescenza ha tenuto conto di questo dato. L’altro presupposto era quello di costruire il confronto tra persone che non comunicano normalmente in modo esplicito: da un lato, adolescenti che si ritengono eterosessuali e che si presentano come tali nel film, che non sanno nulla di ‘dove stanno questi gay’, ma credono di sapere molte cose sull’omosessualità – che in realtà è il portato della costruzione culturale che chiamiamo pregiudizio, ovvero credere di sapere qualcosa senza averlo mai approfondito. Dall’altro lato, invece, ragazzi gay e ragazze lesbiche che hanno preso coscienza di sé molto presto, attraversando questo percorso da soli e che appaiono, per certi versi, più maturi dei loro compagni e delle loro compagne eterosessuali perché hanno dovuto sbattere il naso contro qualcosa di molto duro. Il documentario fa, però, emergere come tutti gli adolescenti nel periodo di crescita si trovino a vivere situazioni difficili o problematiche e come questo accomuni tutte e tutti indipendentemente dall’orientamento sessuale. La preparazione del documentario è avvenuta sempre con l’aiuto di professionisti, Roberto Del Favero, psicologo, e Stefania Zaccherini Marangoni, formatrice: con loro abbiamo capito che dovevamo impostare le cose in questo modo e che doveva essere un confronto tra adolescenti capace di dribblare il pregiudizio.

Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate nella realizzazione del progetto?

La maggiore difficoltà è stata costruire i gruppi adeguatamente, e io l’ho fatto appoggiandomi per una prima fase al lavoro di Arcigay nelle scuole. Già allora infatti Arcigay faceva formazione, soprattutto nei momenti di autogestione, in cui si parlava apertamente di omosessualità: lì ho cominciato a capire che ragazzi e ragazze potevo invitare, scegliendo anche quelli apertamente omofobi, o che esprimevano con franchezza e veemenza la loro difficoltà, perché altrimenti avremmo realizzato un documentario ‘politically correct’ di nessuna utilità. Poi, attraverso altri canali o il passaparola, sono riuscito a contattare ragazzi gay e ragazze lesbiche più grandi, che hanno finito il liceo.

Il video si propone sia come documentario che come vero e proprio strumento educativo: quali sono stati gli sviluppi del progetto? Quale circuitazione ha avuto e con quali esiti?

Già allora ho costruito quest’esperienza con un occhio agli Stati Uniti, in particolare al lavoro di Debra Chastnoff e Helen Cohen, “It’s elementary“: un lavoro brillante e straordinario che a metà degli anni ’90 si è proposto di parlare di omosessualità alle elementari e lo faceva, nonostante le autrici fossero lesbiche, solo con insegnanti eterosessuali. Il documentario scatenò una polemica mediatica micidiale negli Stati Uniti. Il risultato però è un film bellissimo che molto pragmaticamente dimostra che parlare ai ragazzi e alle ragazze di amore e non di sesso è possibile, anche quando non è solamente eterosessuale, e che prima che si sedimenti il pregiudizio bambini e bambine sono molto più liberi e capaci di andare oltre le etichette sociali. “Nessuno uguale” nasce da quell’esperienza riportata da noi: io l’ho fatto perché sentivo il bisogno bruciante di farlo, io stesso ho vissuto quell’esperienza di isolamento che raccontano i ragazzi gay e le ragazze lesbiche e non mi sembrava tollerabile che questa storia continuasse a ripetersi. Volevo riuscire a raccontare questo percorso perché altri ne venissero a conoscenza prima di cadere nella disperazione, volevo che avesse una funzione di diffusione culturale e di prevenzione. Mi sono tuttavia stupito del fatto, però, che è rimasto l’unico esempio: non c’erano, allora, prodotti analoghi, ma non ne sono stati fatti neanche dopo. Per questo motivo viene ancora utilizzato: in realtà le cose nel profondo non sono cambiate moltissimo, è cambiata molto l’apparenza dei problemi, ma non ci sono altri documentari informativi e didattici, ma non prescrittivi, ovvero capaci semplicemente di mostrare nel profondo, senza veli, i percorsi di questi ragazzi e ragazze. Il documentario inoltre dimostra qualcosa di alto valore formativo: bastano due giorni di lavoro in un gruppo di adolescenti che non si conoscono e vengono da scuole diverse per dare dei risultati strepitosi, e questo andrebbe fatto sempre nella nostra scuola perché quel percorso per loro è stato indimenticabile, ha segnato la vita e la crescita in modo positivo.
L’utilizzo didattico successivo purtroppo è stato molto spontaneo, mai pienamente istituzionalizzato: abbiamo tentato di fare una distribuzione nazionale nelle scuole ma di fatto non è stato possibile, e solo la Regione Piemonte e il Comune di Torino hanno avuto la sensibilità, le possibilità e le strutture per proporre il VHS nelle scuole e nelle biblioteche comunali o di abbinarlo a progetti formativi. Quindi è tutto in mano a insegnanti che per passaparola lo hanno conosciuto e utilizzato, e questo continua ad avvenire, perché ce lo chiedono, si fanno lavori di formazione. “Nessuno uguale” poi ha prodotto un secondo step ancora più importante: una volta che è stato usato dai figli per fare coming out in casa e aprire il dialogo con i propri genitori, i genitori stessi hanno cominciato ad affluire ad Agedo con meno paura, ed è stato possibile mettere in cantiere “Due volte genitori“, un documentario sulle famiglie e sui genitori, che ha avuto ancora più diffusione.

Hai avuto modo di incontrare nuovamente i protagonisti e le protagoniste del video a distanza di tempo?

Due settimane fa abbiamo fatto una proiezione all’università di Bologna con grandissimo successo con Margherita, una delle ragazze che era nel film, ed è ancora legata al progetto; sono in contatto con alcuni e alcune di loro, ma con altri ci siamo persi. La mia idea era di fare un aggiornamento di “Nessuno uguale” ai giorni nostri coinvolgendo i ragazzi e le ragazze di allora, facendo un confronto fra generazioni in questo momento.

Il video è stato realizzato alla fine degli anni ‘90, quando ancora molti cambiamenti nel mondo LGBT e, in generale, nella possibilità di accedere a informazioni non erano avvenuti. Se il progetto si ripetesse attualmente, quali pensa che sarebbero le differenze?

Purtroppo quello che è cambiato è fondamentalmente la tecnologia della comunicazione: i ragazzi e le ragazze di “Nessuno uguale” non avevano neanche il telefonino, figuriamoci Internet 2.0 e i social! Oggi sarebbe un po’ paradossale sostenere di essere ‘l’unico sulla terra’, perché, effettivamente, se ci si connette ad Internet è possibile entrare in contatto con coetanei e coetanee omosessuali. Si tratta però di una nuova solitudine che non è sinonimo di crescita. In un certo senso siamo in balia di un’overdose mediatica: è andata consolidandosi un’immagine mediatica ed esteriore attorno all’omosessualità, neanche sull’omosessualità, che non ha nulla a che vedere con i percorsi di cui si parla nel film. Nella sostanza secondo me non è cambiato nulla: io credo che la comunicazione di per sé non agevoli il processo di crescita se non è accompagnata da un percorso formativo adeguato e dall’assunzione di responsabilità del mondo scolastico, cosa che come sappiamo non sempre avviene. Spesso i mezzi di comunicazione e la facilità di accesso alle informazioni generano confusione e influiscono erroneamente sull’opinione pubblica: per esempio la parola outing è stata introdotta dai media per dire coming out, è piaciuto il suono di quella parola, ma non ci si è accorti che è un termine omofobico e scorretto.

A quali progetti sta lavorando attualmente?

Non ho progetti in cantiere al momento, ma ci sono tre temi su cui mi piacerebbe lavorare. Uno è quello dei matrimoni: dopo aver parlato di difficoltà di coming out adolescenziali, difficoltà di coming out in famiglia, volevo raccontare come si sta in coppia, come vivono le coppie di lunga data, cosa comporta il fatto di non avere un riconoscimento esterno. Altri due temi sono quello del transgenderismo e della transessualità e quello dell’immigrazione e dell’omosessualità, le seconde generazione di immigrati ed il coming out in culture diverse. Sono però tutti progetti molto complessi e ambiziosi che sono ancora nella sfera delle ipotesi.
Voglio concludere ringraziando moltissimo Agedo, perché è stata una forza propulsiva: io negli anni ’90 avevo voglia di lavorare su e con le scuole, ma non l’avrei fatto senza lo stimolo di Paola Dall’Orto che come me aveva un’esigenza militante straordinaria.

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