Famiglie arcobaleno e letteratura per l’infanzia: l’esperienza di “Lo Stampatello”

A cura di Mara Pieri, sociologa, Gruppo di redazione.

Nel 2011 nasce “Lo Stampatello”, la prima casa editrice italiana che racconta l’omogenitorialità a bambini e bambine. Il motto dell’avventura editoriale è “Parlami in stampatello”: l’idea di Francesca Pardi e Maria Silvia Fiengo, le fondatrici, è quella di proporre temi complessi, delicati e sfaccettati con un linguaggio semplice, chiaro e diretto. In poco tempo, l’attività della casa editrice si estende anche a temi come l’omoaffettività e le esperienze che meno trovano posto nella letteratura per l’infanzia ma che vissute in prima persona possono far sorgere nei bambini e nelle bambine domande e curiosità. Oggi “Lo Stampatello” conta un catalogo di più di 30 libri, tra cui diverse traduzioni di pubblicazioni internazionali. Francesca Pardi, autrice e co-fondatrice, ci racconta com’è nata e come si è sviluppata l’attività della casa editrice.

Com’è nata l’idea di fondare “Lo Stampatello”?

L’avventura de “Lo Stampatello” nasce dall’idea mia e della mia compagna, Maria Silvia. Noi siamo due donne che hanno fatto un famiglia attraverso l’inseminazione eterologa in Olanda. La nostra prima figlia è nata nel 2002, e nel 2010, quando aveva 8 anni, incominciando ad andare a scuola, ha iniziato anche a dover affrontare le domande e le curiosità dei compagni e delle compagne rispetto al fatto di avere due mamme. Essendo timida e riservata, non aveva molta voglia di rispondere a queste domande, e ci disse «Ma non c’è un libro per far capire queste cose agli altri bambini?». Noi abbiamo una libreria di libri per bambini molto fornita, e da lì, prendendo illustrazioni e pezzi di racconti diversi, le ho costruito la storia della nostra famiglia: così facendo, ci siamo però rese conto che in Italia non c’era niente di questo genere. A quel punto, ho chiesto ad un’amica di illustrare la storia, e abbiamo iniziato a farla circolare: ha funzionato molto bene, sia con i bambini e le bambine sia con i genitori. Molti, infatti, avevano magari avuto l’esigenza o il desiderio di raccontare quest’esperienza ma non sapevano come fare. Altre famiglie, quindi, hanno iniziato a chiedercelo, dandoci lo stimolo per mandare la proposta a diverse case editrici. Una di esse, in particolare, ha in prima battuta accettato di pubblicarci, per poi ritrattare considerando l’argomento troppo delicato: nonostante la delusione, questo ci ha fatto capire che quello che stavamo facendo poteva avere anche un riscontro in ambito editoriale. “Lo Stampatello” nasce quindi per pubblicare questo libro.

Come nasce invece la vera e propria casa editrice?

Subito dopo, abbiamo chiesto ad Altan di illustrare una storia che avevo scritto: avevamo la fantasia di lavorare con un illustratore del suo calibro, e ha accettato. È nato così “Piccolo Uovo”, che ha segnato la nascita di una vera casa editrice. Il libro ha scatenato diverse reazioni, in positivo, con il supporto di molti ambienti, anche politici, e in negativo, con le polemiche scatenate da “Forza Nuova”. Questo in realtà ha fatto sì che il libro avesse molta visibilità, e ci facesse conoscere in Italia. Abbiamo poi trovato un libro edito in 15 paesi del mondo, ma non in Italia, intitolato “Il grande grosso libro delle famiglie”: abbiamo quindi deciso di tradurlo e pubblicarlo, instaurando un rapporto con una casa editrice inglese che adotta uno sguardo che in Italia è ancora poco diffuso. In sostanza, noi abbiamo di fatto sdoganato, nel nostro paese, la possibilità di parlare di omosessualità con i bambini e le bambine: sembrava infatti fosse un tema che per forza dovesse essere connesso solo ed esclusivamente con la sessualità, mentre, al contrario, coinvolge molti altri aspetti, l’affettività, la famiglia, l’identità, e questo, soprattutto noi genitori arcobaleno, lo sappiamo molto bene.
Fin dall’inizio, comunque, abbiamo cercato di fare un ampio discorso inclusivo, non solo incentrato sui temi LGBT, ma, più in generale, sul raccontare all’infanzia realtà negate e sguardi minoritari, con la pubblicazione, ad esempio, di libri dedicati all’immigrazione, come “Il mio primo giorno in Italia”, e alla separazione.

Com’è stata accolta l’idea e in che modo è iniziata la diffusione dei libri?

In generale l’accoglienza dell’ambiente della letteratura per l’infanzia è stata molto positiva. Allo stesso tempo, c’è comunque un aspetto commerciale da considerare, per cui magari molte case editrici sarebbero state pronte ad affrontare i temi che noi proponiamo in linea teorica, ma non si prendevano il rischio economico di provarci. Ci voleva un filo di incoscienza, e noi l’abbiamo avuto!
Ora riusciamo a vivere grazie a un enorme lavoro di rete e passaparola che ha permesso a “Lo Stampatello” di essere accolta molto bene. La vittoria del Premio Andersen con “Piccolo Uovo” è stata, a sua volta, una grande spinta a continuare: la partecipazione di Altan ha permesso di trovare un distributore anche se, al tempo, avevamo solamente due libri in catalogo. In quel momento è stata fondamentale la rete messa in gioco dalle associazioni LGBT, ed è anche grazie a loro se ora abbiamo guadagnato un nostro posto nello scenario dell’editoria italiana, pur continuando a faticare economicamente. È stato un tale investimento di passione ed energia che spesso ci siamo dette che, avesse anche dovuto finire in quel momento, ne sarebbe comunque valsa la pena.
Al momento siamo riuscite a stampare tutti i libri del catalogo, e riusciamo, in qualche modo, ad andare in pari economicamente, pur dovendo affrontare il rischio economico della stampa: ora abbiamo il nostro piccolo tesoro di libri stampati, e contiamo di venderli a poco a poco.

Come si muove la letteratura per l’infanzia sui temi LGBT in Italia e all’estero?

La nostra impressione è che in Italia si stiano muovendo molte cose: in particolare, si sta creando molta attenzione sulle tematiche di genere, e sul lavoro con gli stereotipi, forse anche per un discorso di quantità di persone che compra i libri e ha interesse per questi temi. Questo è positivo anche per il lavoro che facciamo noi, se consideriamo che omofobia e stereotipi di genere sono strettamente legati l’uno all’altro.
Anche noi, dunque, abbiamo affrontato il tema, pubblicando alcuni libri dedicati. In “Raffi”, raccontiamo la storia di un ragazzino a cui piace lavorare a maglia; in “La principessa salvata dai libri”, invece, protagonista è una principessa che passa il suo tempo su un albero aspettando un principe, finché, a convincerla a scendere, sarà un lavoro in biblioteca.
All’estero, invece, molti concetti sono acquisiti, per cui c’è un supporto anche istituzionale al cambiamento sociale: le istituzioni si fanno carico del cambiamento, e sono riuscite, in molti paesi, a realizzare un contesto nel quale alcuni concetti sono dati per scontati. Qui, purtroppo, le cose funzionano al contrario, per cui il cambiamento parte dal basso, e non viene sempre sostenuto dalle istituzioni.
Noi abbiamo instaurato legami con diverse case editrici, con le quali abbiamo dei rapporti di collaborazione, e con cui cerchiamo di condividere gli spazi promozionali e fieristici: si tratta di case editrici piccole e indipendenti, che si occupano di argomenti che creano una nicchia di pubblico. Essendo una casa editrice indipendente, abbiamo anche noi la possibilità di lavorare in autonomia rispetto ai temi e di collaborare per gli aspetti più promozionali con altre case editrici indipendenti, costruendo comunque il nostro percorso nella nicchia contenutistica che ci caratterizza.

Avete instaurato un dialogo particolare con le scuole e gli insegnanti?

Le scuole sono un veicolo educativo importantissimo: tuttavia, gli insegnanti si trovano in una condizione molto particolare, perché da una parte, sono realmente ‘sul campo’, in quanto lavorano fianco a fianco con i bambini e le bambine, e si relazionano direttamente con i genitori, ma, dall’altra, rispondono anche ai loro dirigenti scolastici. Ciò fa sì che, quando i dirigenti scolastici sono aperti, si riesca a costruire un dialogo. Gli insegnanti sono davvero sul campo, e, dunque, sono davvero dalla parte dei bambini. In particolare, nella scuola d’infanzia si assumono un compito educativo enorme. Successivamente, certo, si concentrano maggiormente sul rendimento e quindi hanno meno opportunità di lavorare sull’educazione a stare insieme e su aspetti relazionali.
Noi abbiamo incontrato moltissimi insegnanti bravi, disposti all’ascolto ma anche a mettersi in discussione rispetto ai loro stessi pregiudizi: anche nei casi in cui all’inizio si trovavano resistenze, l’interesse a far star bene i bambini e le bambine in classe era comunque talmente alto da permettere di creare un dialogo.
Abbiamo lavorato molto anche insieme all’Associazione Famiglie Arcobaleno, poco a livello istituzionale ma molto a livello di rapporti diretti con le scuole. Per esempio, abbiamo organizzato un incontro di autoformazione per insegnanti di scuole di ogni grado, affinché lavorassero insieme su storie realmente accadute e da noi raccontate, e, dopo una discussione in gruppi di lavoro, trovassero delle proposte educative per affrontare quelle specifiche criticità. Come Famiglie Arcobaleno, infatti, noi vediamo le criticità, ma le competenze educative sono degli insegnanti, ed è importante metterle in gioco.
È importante tenere presente che ci sono diversi livelli di omofobia sperimentata dai bambini e dalle bambine. Se alle scuole materne l’omofobia non è praticamente agita, e si pone solo un problema di legittimazione della famiglia, alle elementari già si incomincia a dire ‘gay’ come insulto: i bambini e le bambine figli di famiglie arcobaleno sanno che cosa significa ‘gay’, ed iniziano dunque a percepire che esiste uno stigma sociale riguardo ai propri genitori. Alle medie, poi, si crea un problema di bullismo, per cui lo stigma prende la forma di discriminazioni, che, anche se spesso non vengono rivolte verso i nostri figli e le nostre figlie, sono comunque visibili: per questo motivo, ci sembra più che mai importante parlare di questi temi fin dall’età della scuola materna.

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