Il decreto riporta le disposizioni riguardanti l’attuazione della parità di trattamento delle persone, indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dalle diverse abilità, dall’età e dall’orientamento sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, in modo che tali fattori non siano discriminanti. L’Italia, con questo decreto, ha recepito la Direttiva Europea (EC 2000/78 del 27/11/2000) per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. L’attuazione del principio di parità, secondo la normativa, prevede l’assenza di qualsiasi forma di discriminazione diretta (una persona è trattata meno favorevolmente di un’altra in una situazione analoga, per motivi religiosi, di diversa abilità, di orientamento sessuale…), di discriminazione indiretta (quando una disposizione o un comportamento che possono sembrare neutrali mettono in realtà le persone che professano una determinata religione o con diversa abilità, le persone di una particolare età o di uno specifico orientamento sessuale, in una situazione svantaggiosa rispetto ad altre) e di molestia (quel comportamento indesiderato che lede la dignità di una persona e crea un clima intimidatorio e umiliante). Gli ambiti tutelati dal decreto legislativo riguardano l’accesso al lavoro, sia autonomo che dipendente (compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione), l’occupazione e le condizioni di lavoro (carriera, retribuzione, licenziamento), l’accesso alla formazione e alla riqualificazione professionale, la partecipazione ad organizzazioni di lavoratori e di datori di lavoro. Il decreto legislativo di recepimento della normativa europea antidiscriminatoria è stato molto criticato perché non considerava tutte le indicazioni contemplate nella Direttiva europea ed è stato oggetto di una procedura d’infrazione (2006/2441) sulla base di una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Per questo il decreto è stato modificato con la Legge n. 101 del 6 giugno 2008 (in attuazione del Decreto legge 59/2008) che ha eliminato il regime speciale di infrazione alla normativa antidiscriminatoria inizialmente concesso alla Forze Armate e ha esteso la possibilità di ricorrere in giudizio, oltre che ai maggiori sindacati, anche alle associazioni ed alle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso. La Legge 101/2008 ha inoltre modificato l’articolo 4 del decreto legislativo 216/2003 ristabilendo l’onere della prova a carico del convenuto (colui che è accusato di aver commesso una discriminazione) e non del ricorrente (colui che ritiene di averla subita). Tale articolo è stato ancora modificato e perfezionato con il decreto legislativo 150/2011. Se inizialmente spettava al ricorrente “dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno” sulla base “di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti”, ora, invece, “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione”.
Gazzetta Ufficiale N. 187 del 13 Agosto 2003
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