Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee C-13/94 del 30 aprile 1996


Descrizione

Con la Sentenza C-13/94 del 30 aprile 1996, non solo si conferma il principio della parità di trattamento fra uomini e donne in ambito lavorativo, ma per la prima volta, il diritto di parità viene esteso anche alle persone che hanno subito un cambiamento di sesso: “se una persona, [viene] licenziata in quanto ha l’intenzione di subire o ha subito un cambiamento di sesso, riceve un trattamento sfavorevole rispetto alle persone del sesso al quale era considerata appartenere prima di detta operazione”. La questione nasce dalla controversia che oppone P., amministratore presso un istituto di insegnamento inglese, che dipendeva all’epoca dall’autorità amministrativa del Cornwall County Council, e S. direttore didattico e gestore delle finanze dell’appena citato istituto. Un anno dopo l’assunzione, P. informa S. di volersi sottoporre al ciclo di trattamenti per il cambiamento di sesso. È aprile 1992. All’inizio di settembre, P. riceve un preavviso di licenziamento che scade il 31 dicembre 1992. L’operazione chirurgica che avrebbe permesso a P. di cambiare definitivamente sesso, sarebbe avvenuta prima del licenziamento effettivo, ma dopo il preavviso. P. presenta ricorso davanti all’Industrial Tribunal affermando di essere stata vittima di una discriminazione fondata sul sesso. S. e l’istituto Cornwall rispondono dicendo che il licenziamento consegue ad un esigenza dovuta all’esubero di personale. L’Industrial Tribunal sottolinea che tale situazione non è contemplata dal Sex Discrimination Act del 1975 (legge relativa alle discriminazioni fondate sul sesso), in quanto il diritto inglese prende in considerazione soltanto le situazioni in cui siano un uomo o una donna ad essere trattati in modo diverso in ragione al loro sesso. Nonostante ciò, il giudice si chiede se questo caso possa rientrare nella sfera di applicazione della direttiva del Consiglio del 9 febbraio 1976, 76/207/CEE (relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro) e dunque considerare se il suo campo di applicazione sia più ampio di quello della normativa nazionale. L’Industrial Tribunal decide così di sospendere il procedimento e sottoporre la questione alla Corte, chiedendo se, in considerazione dello scopo della direttiva 76/207/CEE, il licenziamento di un transessuale costituisca una violazione e se effettivamente l’art.3 della direttiva proibisca di discriminare un dipendente per la sua condizione di transessuale. La corte ha affermato che il diritto di non essere discriminato per il proprio sesso è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, di conseguenza la direttiva non deve riferirsi unicamente alle discriminazioni dovute all’appartenenza all’uno o all’altro sesso, ma deve essere applicata anche nelle situazioni in cui si presentano casi di mutamento di sesso: “l'art. 5, n. 1, di detta direttiva osta al licenziamento di una persona transessuale per motivi connessi al suo mutamento di sesso”. Per la Corte, dunque, “il tollerare una discriminazione del genere equivarrebbe a porre in non cale, nei confronti di siffatta persona, il rispetto della dignità e della libertà al quale essa ha diritto e che la Corte deve tutelare”

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Diritti, Identità di genere, Lavoro
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