Le varianti di genere e la loro iscrizione nell’orizzonte del sapere medico-scientifico: la varianza di genere è un disturbo mentale? Ma cos’è, poi, un disturbo mentale?


Descrizione

Questo articolo, particolarmente ricco sotto il profilo teorico e descrittivo, trae origine dal vivace dibattito avutosi in questi ultimi anni sulle ‘varianti di genere’ e sulla legittimità, o meno, di mantenere delle etichette diagnostiche per tali condizioni, all’interno del Manuale Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) edito dalla American Psychiatric Association (APA). Con l’espressione ‘varianti di genere’ ci si riferisce comunemente, in senso molto ampio, ad un insieme di soggettività che rivendicano un proprio spazio di esistenza al di fuori della divisione binaria tra il genere maschile ed il genere femminile. Sebbene tale espressione venga a volte sovrapposta a quella di transgenderismo, il termine 'variante di genere' è maggiormente inclusivo e accoglie al suo interno il transessualismo, che è la condizione sperimentata da coloro i quali, affermando la propria appartenenza al genere sessuale opposto a quello biologico, producono una domanda di rettifica chirurgica ed ormonale dei propri caratteri sessuali primari e secondari e richiedono la modifica della propria identità anagrafica. Nella prima parte di questo lavoro vengono discussi in modo critico i presupposti metodologici che guidano la comunità scientifica nel definire e classificare i 'disturbi mentali'. Nella parte centrale, invece, sono discussi nel dettaglio i cambiamenti prospettati dall’uscita della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) edito dalla American Psychiatric Association (APA) e le ragioni a sostegno dell’abbandono della categoria di ‘Disturbo dell’Identità di Genere’ (DIG), presente nella IV edizione del Manuale. Infine, nell’ultima parte, vengono ulteriormente sviluppate delle considerazioni sulla questione riguardante la ‘patologizzazione’ e la ‘depatologizzazione’ delle varianti di genere. Oltre ad essere posto in luce come l’attuale dibattito sulla legittimità di inclusione di tali condizioni all’interno del DSM presenti alcune similitudini con il dibattito che portò nel 1973 a rimuovere la diagnosi di omosessualità a partire dalla terza edizione del manuale, viene chiarito, d’accordo con Meyer-Bahlburg (2010), che il presupposto epistemologico attualmente utilizzato dalla comunità scientifica per pronunciarsi su tali questioni è, di fatto, un approccio pragmatico. Come proposto da Meyer-Bahlburg, per prendere una decisione sulle diagnosi connesse alle varianti di genere all’interno del DSM non ci si può affidare unicamente ad un giudizio ‘scientifico’, ma essere consapevoli dell’effetto di stigmatizzatone che tali etichette producono sulla vita delle persone. Le questioni scientifiche, pertanto, devono essere considerate in combinazione con i bisogni di cura delle persone con varianti di genere, consci degli effetti pragmatici che le formulazioni del DSM possono comportare nella vita di queste persone.

Autore/Autrice (individuale o ente)

Roberto Vitelli, Paolo Fazzari, Paolo Valerio

Estremi di pubblicazione

"Comunità omosessuali. Le scienze sociali sulla popolazione LGBT" a cura di Fabio Corbisiero, Franco Angeli, Milano

Data di realizzazione
2013
Tag
Identità di genere, Salute e benessere
Tipologia di documento
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