Welfare – Portale di Informazione Antidiscriminazioni LGBT http://www.portalenazionalelgbt.it identità, diritti, informazione Wed, 18 Jan 2017 11:43:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.7.2 Welfare: guida alla normativa e alla giurisprudenza http://www.portalenazionalelgbt.it/welfare-guida-alla-normativa-e-alla-giurisprudenza/ Thu, 28 Jul 2016 10:28:02 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=5087 A cura di Daniela Izzi, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino

L’instaurazione di duraturi rapporti di convivenza tra partner same-sex genera da tempo, com’è comprensibile, significative istanze di tutela previdenziale: basti pensare, per citare un esempio economicamente molto rilevante, all’atteso godimento della pensione di reversibilità da parte del membro superstite di una coppia legata da una stabile unione. Aspettative di questo genere sono rimaste a lungo prive di fondamento giuridico nell’ordinamento italiano, ove le unioni civili tra persone del medesimo sesso sono state istituite solo di recente con la l. 20 maggio 2016, n. 76, che ha posto le premesse per il riconoscimento ai contraenti di tale unione degli stessi diritti attribuiti ai coniugi dalle disposizioni legislative, amministrative e contrattual-collettive (v. l’art. 1, comma 20), provvedendo finalmente alla protezione della vita familiare degli interessati (Cfr. “Orientamento sessuale”).

Fino al varo della l. n. 76/2016, la cui piena operatività (ai sensi dell’art. 1, comma 28) è condizionata ai d. lgs. da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della stessa (cioè dal 5 giugno 2016), il principale punto di riferimento normativo era rappresentato dal d. lgs. n. 216 del 2003, che ha introdotto il divieto di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale nei rapporti di lavoro (Cfr. “Lavoro”), non incidente però nella sfera della previdenza sociale. Questo limite invero caratterizzava già la fonte comunitaria di cui il richiamato d.lgs. costituisce attuazione, cioè la direttiva n. 2000/78, che ha escluso dal proprio campo d’applicazione i «pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale» (così all’art. 3.3): ovvero (come si puntualizza nel tredicesimo considerando) i regimi «le cui prestazioni non sono assimilate ad una retribuzione»1.

Si tratta di una riduzione consistente del raggio d’azione della disciplina antidiscriminatoria, che ha posto gli Stati membri dell’Unione europea al riparo dalle rivendicazioni pensionistiche connesse a rapporti di stabile convivenza omosessuale, almeno ogniqualvolta le prestazioni previdenziali in questione non abbiano natura retributiva. Proprio per questa via, cioè attraverso l’interpretazione estensiva del concetto di «regimi professionali di sicurezza sociale» che erogano prestazioni con valenza retributiva, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha però ripetutamente assecondato le aspirazioni di tutela previdenziale riguardanti coppie same-sex che avevano formalizzato unioni equiparabili al matrimonio eterosessuale perché caratterizzate, in virtù del diritto nazionale, da diritti e doveri analoghi a quelli dei coniugi.

La rotta in questa direzione è stata inaugurata nel 2008 dalla sentenza “Maruko”, che ha considerato discriminatorio in base all’orientamento sessuale, in presenza di un contratto tedesco di unione solidale regolarmente registrato, il diniego al partner del lavoratore deceduto della pensione di reversibilità prevista da un regime previdenziale di categoria. La stessa linea è stata poi ribadita nel 2011 con la sentenza “Römer”, che ha censurato il metodo di calcolo della pensione complementare di vecchiaia spettante agli ex-dipendenti di un ente locale tedesco e ai loro superstiti, perché tale da avvantaggiare i beneficiari coniugati rispetto a quelli coinvolti in un’unione civile registrata.

Più agevole è stato per la Corte di Giustizia assicurare la tutela contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale con riguardo a benefici che, pur essendo considerabili in senso lato misure di welfare, fuoriescono dall’ambito previdenziale e ricadono dunque integralmente entro il campo d’applicazione della direttiva n. 2000/78. Va ricordata a questo proposito la sentenza “Hay” del 2013 che, marcando una netta distanza rispetto alla giurisprudenza comunitaria precedente l’entrata in vigore di detta direttiva2, ha ritenuto illegittima l’esclusione di un omosessuale, contraente del patto civile di solidarietà francese, dalla possibilità di fruire del congedo straordinario e del premio stipendiale concessi dal contratto collettivo – a lui applicabile – ai dipendenti che contraggono matrimonio.

Il presupposto di operatività della protezione antidiscriminatoria garantita dal diritto dell’Unione europea è, in tutti i casi, l’esistenza a livello nazionale di una forma di registrazione della convivenza tra partner same-sex produttiva di effetti giuridici e comparabile al matrimonio ai fini del godimento del beneficio controverso.

Il riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso avvenuto con la l. 76/2016, che ha recepito gli impulsi sempre più consistenti provenienti in tal senso dal diritto internazionale (Cfr. “Famiglie plurali”), rappresenta quindi il passo decisivo per il loro accesso alle misure di welfare. Alla copertura dei costi collegati agli «oneri di natura previdenziale e assistenziale» derivanti dalla recente svolta normativa sono destinate apposite risorse, la cui entità e le cui modalità di determinazione sono indicate nella stessa legge (all’art. 1, commi 66 e 67).

In precedenza, l’assenza di una presa di posizione del legislatore nazionale sulle unioni same-sex non aveva comunque impedito espliciti interventi a favore di queste in sede di contrattazione collettiva aziendale, ove è stato ad esempio stabilito l’allargamento ai «conviventi di fatto» anche dello stesso sesso della fruizione dei permessi dal lavoro previsti in caso di decesso di familiari3 oppure il godimento del congedo matrimoniale al membro di una coppia convivente che si è unita, eventualmente all’estero, in un matrimonio non trascritto nei registri dello stato civile italiano4.

Si sono inoltre registrate aperture giurisprudenziali come quella effettuata dalla Corte d’Appello di Milano con la decisione n. 7176 del 2012. Questa sentenza, interpretando la disposizione statutaria di una cassa mutualistica di categoria che includeva tra i beneficiari dell’assistenza sanitaria ivi regolata il «convivente more uxorio risultante dallo stato di famiglia», ha infatti affermato che «il significato dell’espressione “convivenza more uxorio” non può essere limitato alle sole convivenze eterosessuali, in quanto significato attribuitole in epoca ormai risalente», ma deve ormai includere anche «le unioni omosessuali cui il sentimento socialmente diffuso riconosce il diritto alla vita familiare propriamente intesa».

In materia sanitaria, oltre che in relazione agli altri servizi erogati a livello regionale (istruzione, formazione professionale e politiche attive del lavoro, promozione di eventi culturali, tutela dei diritti attraverso il difensore civico), va ancora ricordata la specifica attenzione rivolta alle esigenze delle persone omosessuali o transessuali da alcune leggi regionali all’avanguardia nella lotta alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Sia la legge della Toscana n. 63/2004 che la legge della Liguria n. 52/2009 riconoscono difatti, a chi ha compiuto la maggiore età, il diritto di designare una persona che abbia accesso alle strutture di ricovero e cura per prestare assistenza al malato in ogni fase della degenza e alla quale gli operatori delle strutture socio-assistenziali devono riferirsi per tutte le comunicazioni relative al suo stato di salute; attribuiscono inoltre alle aziende sanitarie locali il compito di attuare adeguati interventi di informazione, consulenza e sostegno per rimuovere gli ostacoli alla libera espressione e manifestazione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere di ciascuno. Su un’analoga lunghezza d’onda si colloca la legge regionale delle Marche n. 8/2010, che promuove tra l’altro l’attivazione di centri di ascolto per la prevenzione e la riduzione del disagio provocato dalle discriminazioni legate a queste caratteristiche.

Con riguardo alla transessualità, non trascurata dalla legislazione regionale appena richiamata, va infine evidenziata l’efficace tutela garantita dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea facendo leva sui divieti di discriminazione in base al sesso risultanti ora dalla direttiva sulla parità fra uomini e donne in materia d’occupazione n. 2006/54 (e, a livello nazionale, dal codice delle pari opportunità fra uomini e donne di cui al d.lgs. n. 198/2006). Accomunate da questa impostazione sono, in materia previdenziale, le sentenze “K.B.” del 2004 e “Richards” del 2006, dalle quali si evince che ai lavoratori transessuali devono essere riconosciuti gli stessi diritti previdenziali spettanti ai soggetti appartenenti sin dalla nascita al genere da essi acquisito a seguito dell’intervento di rettifica del sesso.

Note:
[1] Sempre nel tredicesimo considerando della direttiva n. 2000/78 si precisa che il termine retribuzione va inteso nell’accezione data allo stesso ai fini dell’applicazione del principio di parità retributiva tra uomini e donne oggi risultante dall’art. 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ove è chiarito che «per retribuzione si intende … il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo».
[2] Si fa riferimento alle sentenze rese dalla Corte di Giustizia nel caso “Grant” del 1998 e nel caso “D” del 2001, che avevano respinto le istanze avanzate da lavoratori conviventi con partner dello stesso sesso al godimento rispettivamente di un servizio aziendale a prezzo scontato previsto per i familiari dei dipendenti e di un assegno di famiglia.
[3] Così dispone il contratto collettivo di lavoro firmato con la Filcams Cgil del Trentino dalla società del settore grande distribuzione Orvea il 4 luglio 2012.
[4] In questo senso dispone l’accordo firmato tra Intesa Sanpaolo e le organizzazioni sindacali, in attuazione del Protocollo sull’inclusione e le pari opportunità nell’ambito del welfare del Gruppo Intesa Sanpaolo, il 24 luglio 2014.

 

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Politiche di welfare e persone LGBT http://www.portalenazionalelgbt.it/politiche-di-welfare-e-persone-lgbt/ Thu, 18 Dec 2014 09:00:09 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=2149 A cura di Chiara Saraceno, Honorary Fellow al collegio Carlo Alberto di Torino.

Il sistema di welfare riguarda l’insieme delle misure di sostegno economico e di offerta di servizi che forniscono protezione agli individui e alle famiglie rispetto ai diversi rischi cui possono incorrere: malattia, disoccupazione, vecchiaia, costo dei figli, necessità di conciliare cure familiari e partecipazione al lavoro remunerato e così via. I sistemi di welfare differiscono tra loro, da un paese all’altro, per ampiezza e tipo dei rischi che coprono, per grado di universalismo, piuttosto che selettività e/o categorialismo e per grado di generosità.

Ha senso parlare di politiche di welfare specifiche per le persone LGBT, o si tratta piuttosto di considerare se, e in che misura, le persone LGBT e/o i loro familiari siano escluse di fatto o di principio da determinate politiche di welfare, nazionale o municipale, pubblico o privato (aziendale, assicurativo)? Probabilmente sono necessari entrambi gli approcci. Comunque vale la pena di rifletterci, senza dare nulla per scontato.

Incomincerò dal secondo, apparentemente più semplice, sia concettualmente, sia a livello descrittivo. Ci sono degli ambiti di welfare da cui le persone LGBT sono escluse in quanto tali, in Italia? La risposta è positiva e riguarda situazioni in cui oggetto del welfare sono relazioni – di coppia o di generazione – più che l’individuo singolo. Esse dipendono dal mancato riconoscimento di uno statuto legale alla coppia e al genitore non biologico. Riguardano la pensione di reversibilità (non estendibile al compagno/a, e tantomeno ai suoi genitori in caso di necessità, ma neppure ai figli non biologici e non riconoscibili come propri legalmente). Riguardano l’impossibilità di far valere i figli che non si sono potuti riconoscere come componenti della famiglia ai fini dell’ottenimento degli assegni al nucleo familiare, o per fruire delle detrazioni per figli a carico (anche se questa impossibilità può essere più che compensata dal fatto che il reddito del compagno/a non rientra nel calcolo del reddito familiare e che l’unico genitore legale può fruire dell’intera detrazione). In parte le persone LGBT condividono questa situazione (ad esempio nel caso della pensione di reversibilità) con le coppie di sesso diverso che non sono sposate. Ciò non vale, tuttavia, nel caso dei figli (della coppia dello stesso sesso). Da quando, infatti, sono state eliminate tutte le differenze tra figli naturali e legittimi, gli unici figli a non essere equiparati e ad essere destinati a rimanere orfani di un genitore (quindi anche mancanti di tutto un ramo parentale, ad esempio dal punto di vista ereditario) sono i figli delle coppie dello stesso sesso o di una coppia in cui vi sia un partner transessuale, se non ha compiuto fino in fondo la transizione fisica all’altro sesso e quindi non ha potuto modificare lo stato civile. Sono i figli, quindi, ad essere maggiormente svantaggiati. Come disse Carlo Moro, giudice minorile, alcuni decenni fa a proposito dei figli naturali, essi sono singolarmente protetti in un paese in cui gran parte della protezione dei minori è affidata alle famiglie, anche allargate alla parentela (vedi la figura dei ‘familiari tenuti agli alimenti’, prevista dall’art. 433 del codice civile).
In altri settori la situazione è più a macchia di leopardo e con forti differenziazioni locali, (ad esempio nell’accesso all’edilizia popolare, sempre da parte di coppie, dato che i singoli non hanno quasi possibilità di accesso e comunque non verrebbe loro richiesto il loro orientamento sessuale). Per quanto riguarda il riconoscimento del diritto ad essere accompagnati e a far valere il proprio diritto e responsabilità di compagni/e nei luoghi di cura sanitaria mi risulta che, almeno sul piano formale, non esistano più discriminazioni, anche se il fatto di essere una coppia non è garantito automaticamente dal fatto di essere in una unione legale, quindi sempre vulnerabile (come per le coppie non sposate di sesso diverso). Ancor di più, paradossalmente, il riconoscimento dei diritti di coppia vale nel diritto penale, che riconosce i diritti di visita, quindi di solidarietà e cura, ai compagni/e allo stesso modo dei coniugi, a prescindere dal sesso (art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e art. 37 del D.P.R 30 giugno 2000, n. 230).
Variegato anche il settore del welfare aziendale, dove si passa da contratti (all’Ikea, in Telecom, in Intesa San Paolo) che riconoscono il congedo matrimoniale a tutte le coppie, a prescindere dal sesso e dallo status legale, ad altri che non riconoscono neppure, nel proprio sistema sanitario aziendale, le cure di maternità (esami medici, cure ospedaliere) alle compagne dei propri dipendenti, se non sono sposati. Queste discriminazioni si configurano anche come vere e proprie discriminazioni reddituali, dato che incidono su fringe benefits (ovvero elementi complementari alla retribuzione principale che consistono sostanzialmente nella concessione in uso di beni o servizi) economicamente non irrilevanti.

Quanto alla necessità di politiche di welfare specifiche per le persone LGBT, mi verrebbe da dire, ma la riflessione è aperta, che occorrerebbe innanzitutto sensibilizzare i servizi (i consultori familiari, l’assistenza sociale) all’esistenza di queste persone e ai problemi che possono incontrare nel corso della vita. C’è qui un ampio spazio non solo per l’iniziativa e la responsabilità della scuola e degli insegnanti, ma anche dei dirigenti dei servizi. È, quindi, importante l’impegno degli enti locali, in quanto garanti della qualità dei servizi sui territori di loro competenza. Un discorso a parte va fatto per le persone transessuali, sia nel corso del processo di transizione da un sesso all’altro, sia al suo compimento, se si compie, o nello stato in cui decidono di rimanere. Più che tendere a favorire e controllare una socializzazione (con forti rischi di stereotipia) al genere (più che al sesso) di arrivo, come ancora avviene, i servizi dovrebbero accompagnare e sostenere un processo che per forza di cose avviene ‘in pubblico’. Esso perciò richiede forti capacità di elaborazione, mediazione, collocazione di sé, da parte della persona coinvolta, ma anche comprensione e accompagnamento da parte del suo intorno sociale: famiglia, scuola, ambiente di lavoro, amicizie .
In alcuni paesi, infine, è stata messa a fuoco la questione della vecchiaia delle persone omosessuali, che, almeno per chi è anziano oggi, sembra essere caratterizzata da maggiori rischi di solitudine e di mancanza di reti familiari rispetto alle persone eterosessuali, anche se ciò, come per gli eterosessuali non (più) coniugati, vale più per i maschi che per le femmine. Allo stesso tempo, se sono in coppia, alle persone omosessuali è più difficile trovare ospitalità in case di riposo rispetto a coppie anziane di sesso diverso. Perciò, ad esempio in Germania, in collaborazione tra pubblico e privato si stanno organizzando case di riposo specificamente destinate alle persone omosessuali.
Sono prime riflessioni, che dovranno essere approfondite, integrate, anche criticate.

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Il lavoro in rete tra le amministrazioni locali e l’associazionismo LGBT: linee guida e buone prassi http://www.portalenazionalelgbt.it/amministrazioni-locali-e-associazionismo-lgbt-in-rete-linee-guide-e-buone-prassi/ Tue, 16 Dec 2014 09:05:29 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=2190 In questi ultimi anni le amministrazioni locali hanno avuto un importante ruolo nella realizzazione di politiche inclusive ed antidiscriminatorie  nei confronti delle persone LGBT,  finalizzate alla promozione dei diritti.

Tali politiche ed interventi si sono concretizzati mediante la collaborazione e la creazione di reti fra i diversi livelli di governo (Regioni, Province, Comuni, ecc..), ed attraverso azioni di sussidiarietà orizzontale. Infatti Regioni ed enti locali hanno creato reti di cooperazione con l’associazionismo di settore lavorando in sinergia con esso per la rimozione delle cause di discriminazione dando impulso al riconoscimento dei diritti fondamentali.

Le esperienze degli ultimi anni delle regioni e degli enti locali in questo ambito sono state oggetto di diverse ricerche – realizzate a livello europeo e consultabili attraverso i link sottostanti – che, oltre ad una analisi di contesto, forniscono un quadro delle buone pratiche e dei progetti esistenti, un’analisi comparativa con le esperienze esistenti a livello internazionale ed europeo e l’elaborazione di ipotesi di replicabilità di tali interventi nel contesto italiano.

In particolare, si evidenziano le ricerche realizzate da Avvocatura per i diritti LGBTI / Rete Lenford,  commissionate e finanziate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento pari opportunità ( a valere su PON “Governance e Azioni di Sistema” – Obiettivo Convergenza – Asse pari opportunità e non discriminazione FSE 2007-2013) “Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere” e “Le buone pratiche antidiscriminatorie a livello internazionale nello specifico ambito dell’orientamento sessuale”.

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Si segnalano, inoltre:

Si evidenzia, inoltre, che alcuni Comuni, proprio al fine di mettere in campo azioni di contrasto alla discriminazione e politiche di promozione dei diritti delle persone LGBT,  hanno svolto, anche con la collaborazione di Università o altri enti scientifici di ricerca, specifici studi sul territorio per l’individuazione dei bisogni della popolazione LGBT, e su quale sia l’approccio da parte dei propri/e dipendenti alle tematiche di settore. A tal riguardo si ricordano:

Infine, è importante ricordare che in Italia è operante la “Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazione anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere” (rete RE.A.DY). Fondata nel 2006 dalla Città di Torino, insieme al Comune di Roma, la Rete ha l’ obiettivo di promuovere politiche pubbliche per  i diritti della popolazione LGBT e di diffondere le buone pratiche sul territorio nazionale. Possono aderirvi gli enti locali e regionali e le istituzioni e gli organismi di parità.

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Terza età LGBT: una conversazione con l’associazione Lambda http://www.portalenazionalelgbt.it/terza-eta-lgbt-una-conversazione-con-lassociazione-lambda/ Mon, 15 Dec 2014 10:52:17 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=2237 A cura di Giulia Selmi, sociologa, Gruppo di redazione.

Nel 2013 nella città di Torino è nato lo Sportello Terza Età dell’Associazione Lambda: la prima associazione che, in Italia, promuove servizi per l’inclusione ed il sostegno delle persone anziane LGBT in accordo con il Comune di Torino e con il Centro Servizi per il Volontariato Idea Solidale. Ne abbiamo discusso con Enzo Cucco, presidente dell’Associazione nata nel 20051.

Quali sono le ragioni che vi hanno spinto ad affrontare la questione dell’invecchiamento delle persone LGBT?

Le rispondo con una tautologia: perché noi stessi stiamo invecchiando e in questa risposta è contenuto il motore che ha dato vita a questo progetto. L’associazione Lambda, infatti, è stata fondata proprio da un gruppo di persone anziane che nel corso della loro vita hanno fatto parte del movimento per i diritti LGBT a partire dalla consapevolezza – anche biografica – che questa fase della vita merita un’attenzione specifica. La popolazione tutta sta invecchiando e la vecchiaia espone gli individui a maggiori rischi di vulnerabilità sociale di cui è necessario farsi carico. Le persone gay, lesbiche e trans – rispetto alla popolazione eterosessuale – possono essere esposte a maggiore solitudine, isolamento e fragilità sociale ed è proprio a questi ‘nuovi’ bisogni che il progetto vuole rispondere.

Per quali ragioni le persone LGBT possono essere esposte a maggiore vulnerabilità nella terza età?

La solitudine e l’isolamento sono inversamente connessi alla solidità delle reti sociali, personali e di autonomia costruite nel corso della vita. La condizione omosessuale o transessuale – soprattutto quando non dichiarate nel corso della vita o vissute in una condizione di parziale visibilità – possono rendere queste reti più fragili e, nel momento della vecchiaia, produrre una maggiore solitudine. Ciò non significa, chiaramente, che tutte le persone anziane LGBT siano più vulnerabili o isolate dei coetanei eterosessuali, ma che orientamento sessuale e identità di genere – in specifiche condizioni di vita – possono creare maggiori difficoltà ed esporre a discriminazioni e vulnerabilità.
A questo si aggiunge, anche nei servizi per la terza età, il persistere di pregiudizi e stereotipi nelle pratiche degli operatori e delle istituzioni: questo elemento – spesso più invisibile che in altri contesti o istituzioni – funge da meccanismo discriminante verso gli anziani LGBT e ostacola reali processi di inclusione.

Quando avete iniziato a pensare questo progetto avete dato uno sguardo a cosa succede all’estero? Ci sono esperienze di particolare rilievo che vale la pena segnalare?

Si, abbiamo chiaramente studiato quello che si muove in Europa e nel mondo.

Vi sono principalmente due tipologie di esperienze nel panorama mondiale: la prima è composta da associazioni di persone anziane gay, lesbiche e trans che si prefigurano come punto di incontro, scambio e advocacy dei diritti delle persone LGBT nella terza età. Di questo tipo sono i Gruppi Senior LGBT Arcigay di Modena, Bologna e Rimini nati l’anno scorso oppure il progetto “Angelo Azzurro” del Circolo Mario Mieli di Roma, appena avviato. Una seconda tipologia di esperienze – a cui fa riferimento la nostra associazione – è formata sia da persone gay, lesbiche e trans anziane che da persone giovani o adulte e promuove servizi e assistenza per persone LGBT in situazione di difficoltà.
Oltre all’esperienza dell’associazionismo, all’estero da alcuni anni si sono sviluppati dei progetti che hanno a che fare con l’assistenza residenziale, anche in questo caso di due nature. In alcuni paesi – per esempio l’Inghilterra, la Germania e la Svizzera – si sono sviluppate o si stanno progettando delle vere e proprie case di riposo per persone LGBT con tutte le caratteristiche di assistenza sociale e sanitaria che caratterizza tali strutture. A mio avviso, però, non si è trattato di esperienze di grande successo. Più interessanti, infatti, sono le esperienze di housing sociale sviluppate non tanto sulla questione della terza età o del bisogno di cura in senso stretto, ma sulla condivisione di spazi e di sostegno o tra persone che vivono la medesima condizione relazionale (per esempio persone single) o tra generazioni diverse (per esempio persone anziane e giovani). A Colonia, per esempio, c’è un’esperienza molto interessante di social housing intergenerazionale dove persone anziane LGBT condividono la casa con persone giovani che hanno temporaneamente bisogno di un alloggio, quali giovani LGBT appena usciti dalla casa di famiglia o rifugiati politici proprio in virtù della loro omosessualità o transessualità.
Dello stesso tipo è un progetto sviluppato a Madrid dalla Fundaciòn 26 Diciembre che – nello spirito del co-housing e delle nuove soluzioni abitative – sta avviando una struttura dedicata alla convivenza di persone LGBT con diversi bisogni e background (persone anziane lesbiche e gay, ma anche persone transgender con difficoltà abitative, persone straniere o HIV positive). Altro esempio che vorrei indicare è quello della Fundació Enllaç di Barcellona, molto interessante sul piano dell’attività sviluppata.

Merita di essere segnalato anche il progetto dell’associazione COC – storica associazione olandese nata nel 1948 – che ha affrontato la questione da un ulteriore punto di vista: in questo caso, invece di promuovere la creazione di strutture di assistenza e cura ad hoc, l’associazione ha sviluppato un meccanismo di valutazione (ed indirettamente, quindi, anche di sensibilizzazione) del grado di inclusività e accoglienza nei confronti della popolazione LGBT delle strutture già esistenti e promosso, in accordo con le istituzioni locali, una sorta di ‘certificazione’ per identificare le strutture più adatte per persone di terza età gay lesbiche e trans.

Oltre a progetti e associazioni, è interessante nominare le linee guida promosse da ILGA EUROPE in accordo con AGE (la rete europea delle associazioni di volontariato per la terza età) che identificano una road map per promuovere i diritti delle persone LGBT anziane e offrono delle raccomandazioni su come implementare i servizi esistenti. E’ proprio questo documento ad essere la cornice di riferimento delle attività della nostra associazione.

Entrando nel merito del vostro lavoro, quali attività svolgete?

Svolgiamo attività ‘classiche’ dei servizi di assistenza agli anziani: offriamo ore di svago e compagnia, supportiamo nello svolgersi dei bisogni quotidiani come fare la spesa o cercare un medico specialistico e offriamo attività di consulenza e orientamento rispetto ad alcune questioni che diventano cruciali nell’avvicinarsi del fine vita come tutto ciò che è connesso a testamenti, eredità e patrimonio, cose che data l’attuale normativa italiana di riconoscimento delle unioni e dei rapporti di parentela presentano non pochi problemi per le persone LGBT. Per fare queste attività abbiamo dedicato molti mesi alla discussione interna e alla selezione e formazione di operatori e operatrici volontari/e che hanno deciso di investire parte del loro tempo in questo progetto e solo nel mese di settembre di quest’anno abbiamo iniziato il lavoro ‘sul campo’.

Oltre a questo lavoro di servizio e supporto, obiettivo dell’associazione è quello di lavorare con le istituzioni per inserire un’attenzione trasversale alle questioni LGBT in tutti i servizi che riguardano la terza età: dalla nostra fondazione abbiamo già aperto un dialogo con alcuni servizi sulla terza età della Città di Torino, ma l’ambizione è quella di lavorare in modo sempre più trasversale e massiccio nella formazione di operatori/operatrici e sul design dei servizi per rimuovere stereotipi e pregiudizi e promuovere una reale inclusione.

[1] Enzo Cucco, e tutto il primo gruppo di volontari dell’Associazione (AngeloPezzana, Enzo Francone, Marco Silombria e altri), proviene dall’esperienza del Fuori! nel quale è entrato nel 1976 e dove ha svolto il ruolo di direttore della omonima rivista. L’Associazione Lambda è regolamente iscritta all’Albo regionale del volontariato, all’Albo UNAR e a ILGA Europe.

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