La transessualità nei contesti lavorativi: ambiti di intervento e buone prassi

A cura di Beatrice Gusmano, sociologa e componente del gruppo redazionale della Rete RE.AD.Y, alla quale è attribuita la responsabilità dei contenuti e delle indicazioni fornite.

 

La popolazione transessuale e transgender, a differenza di quella omo/bisessuale, molto spesso non può scegliere di rendere invisibile la propria identità di genere, o perché i documenti non rispecchiano il genere scelto, o perché il percorso di transizione comporta dei cambiamenti visibili. Per tale ragione che rende le persone trans piú vunerabili in un mercato del lavoro già reso meno accessibile dalla crisi economica, il presente approfondimento focalizza l’attenzione sulle buone prassi che si possono mettere in pratica al fine di promuovere una miglior integrazione e accoglienza delle persone transgender e transessuali nel contesto lavorativo. Da un punto di vista organizzativo, non si tratta solo di rafforzare le competenze delle risorse umane per la programmazione delle attività, ma anche e soprattutto di costruire procedure amministrative e ambienti lavorativi in grado di garantire efficaci sistemi di gestione e di partecipazione nei diversi ambiti di policy. Non è superfluo ricordare che è nell’interesse del datore e della datrice di lavoro creare degli spazi in cui il/la lavoratore/trice transessuale possa sentirsi a proprio agio nella gestione della propria identità, in quanto vivere serenamente la propria identità sessuale (cosí come qualunque altro aspetto dell’identità) al lavoro significa anche produrre dei risultati positivi in termini di soddisfazione personale, rendimento, lavoro di gruppo, fiducia e integrazione.
Per quel che concerne l’integrazione accogliente delle persone transessuali, sono stati individuati i seguenti ambiti di policy all’interno dei quali istituzioni, parti sociali, professioniste/i e terzo settore possono realizzare delle azioni positive:

  • conduzione di studi e ricerche, tanto sull’esperienza lavorativa delle persone trans quanto sulla normativa vigente;
  • accesso al lavoro;
  • condizioni di lavoro (codici etici, linee guida, tutela sul luogo di lavoro);
  • formazione e qualificazione professionale del personale in servizio sulle tematiche dell’identità di genere e della transessualità;
  • diversity management;
  • sportelli di orientamento, supporto e tutela legale.

Vediamo ora nel dettaglio ciascuno di questi punti, segnalando alcune buone prassi che possono essere attivate a partire dalle esperienze nazionali e internazionali (si rimanda alla banca dati per l’approfondimento dettagliato di ciascuna esperienza citata).

Studi e ricerche

Uno dei primi ostacoli a una valutazione delle condizioni di lavoro delle persone LGBT è la scarsità di informazioni e dati attendibili su cui basare le politiche: il mercato del lavoro, benché sia uno dei settori tutelati dalle direttive europee sin dal 2000, presenta ancora molte lacune conoscitive in merito alla popolazione LGBT a causa dell’invisibilità mantenuta in uno degli ambiti che viene visto tra i più ostili, considerato anche il fatto che da esso dipende l’autonomia, prima di tutto economica, di chiunque voglia rendersi indipendente dalla famiglia. Nel 2011 l’Istat ha condotto, per la prima volta, una ricerca, intitolata “La popolazione omosessuale nella società italiana”, per rilevare le opinioni e gli atteggiamenti della cittadinanza nei confronti delle persone omosessuali (e, soltanto marginalmente, nei confronti delle persone transessuali) e le difficoltà che queste ultime incontrano nella famiglia e nella società, con riferimento anche alle discriminazioni che subiscono nell’accesso al lavoro e sul posto di lavoro. Ma la prima ricerca a livello nazionale che affronta in modo specifico e approfondito la situazione delle persone LGBT sul luogo di lavoro e analizza le discriminazioni a cui sono sottoposte è “Io sono, io lavoro”, finanziata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e promossa da Arcigay Nazionale, e risale anch’essa al 2011. Tra settembre 2011 e luglio 2012, Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford ha, invece, condotto una ricerca, finanziata dal FSE (Fondo Sociale Europeo), volta a censire ed analizzare le buone prassi realizzate a livello internazionale per il superamento delle discriminazioni nei confronti delle persone LGBT in ambito lavorativo, allo scopo di valutare la loro replicabilità nelle Regioni Obiettivo Convergenza (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) attraverso la costituzione di Tavoli Tecnici regionali (Gusmano e Lorenzetti, 2014).

La conduzione di studi e ricerche, dunque, risulta essere un valido primo passo per legittimare le azioni positive nei confronti della popolazione LGBT: una volta che le difficoltà e i bisogni vengono rilevati, è dovere dell’amministrazione pubblica, così come delle aziende che vogliano tutelare la propria immagine sociale, provare a sviluppare delle strategie di pari opportunità, integrazione e lotta alla discriminazione.
Sempre nell’ambito della conduzione di ricerche, è importante fare uno studio approfondito in merito alla normativa vigente e agli strumenti che sono disponibili in Italia per arginare fenomeni di discriminazione sul posto di lavoro.
In entrambi i casi, la collaborazione con le istituzioni, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali e il terzo settore permette di dare maggior legittimità alle ricerche, soprattutto se vi prende parte un’Università o un istituto di ricerca.
Fondamentale, da questo punto di vista, è individuare specifici target di riferimento, evitando di riprodurre lo stereotipo attraverso il quale le esperienze degli uomini FtM (da femmina a maschio) possono essere accomunate a quelle delle donne MtF (da maschio a femmina), o secondo cui le esperienze legate all’orientamento sessuale possono essere assimilate a quelle relative all’identità di genere. Allo stesso modo, un’ulteriore accortezza è non accomunare le esperienze di chi lavora in settori professionali completamente diversi (il settore pubblico è diverso dal privato; una piccola azienda è diversa da una multinazionale; le forze armate hanno una specificità interna; e così via), tenendo conto di quanto il genere e la provenienza etnica possano costituire dei fattori di discriminazione multipla che aggravano la condizione di vulnerabilità di taluni soggetti.
Inoltre, considerato il contesto economico poco favorevole, potrebbe essere utile partire da analisi secondarie di dati già esistenti o cercare dei finanziamenti europei o l’appoggio di organismi internazionali; a questo proposito, segnaliamo in banca dati la ricerca “Straight people don’t tell, do they?” condotta all’interno di un progetto Equal.

Accesso al lavoro

L’accesso al lavoro comprende tutte quelle fasi che permettono a un individuo di incontrare la propria posizione nel mercato lavorativo, ovvero le fasi di orientamento, ricerca, formazione in ingresso e accompagnamento al lavoro. Dato il contesto economico non favorevole, sarebbe attualmente piú corretto parlare di azioni che migliorano le condizioni di accesso al lavoro, dato che, a differenza del passato, ora é molto piú difficile che le suddette fasi si traducano in un concreto contratto di lavoro. Inoltre, i dati a disposizione dimostrano come sia diffusa la pratica di offrire alle persone trans condizioni contrattuali molto penalizzanti facendo leva sulla loro posizione che le rende lavoratrici e lavoratori più facilmente sfruttabili. Come sottolineano gli enti e le associazioni che si impegnano a facilitare l’inserimento lavorativo delle persone transessuali, date le condizioni del mercato del lavoro, é fondamentale qualificare il problema in termini di sperimentazione di un lavoro ‘di qualità’.
Un’opportunità in questo senso é data, quando le risorse lo consentono, dai bandi per l’assegnazione di borse lavoro/tirocini formativi. Un esempio di queste azioni positive é il “POR-FSE 2007/2013” promosso dalla Regione Piemonte per il rafforzamento dell’occupabilità e l’accompagnamento nell’inserimento socio-lavorativo di persone particolarmente svantaggiate e a rischio o vittime di discriminazione. Tra le Province destinate ad attuare il POR, quella di Torino ha previsto la possibilità di fruire, nel corso del 2014, di tirocini di inserimento/reinserimento lavorativo di 4 mesi a 126 persone, 36 delle quali LGBT, prevalentemente transessuali. I punti di forza di questo progetto sono stati il periodo adeguato di ore di preparazione all’avvio del tirocinio formativo (che venivano già retribuite); la presenza di due tutor: uno responsabile degli aspetti lavorativi, e l’altro (denominato life friend) degli aspetti legati all’empowerment individuale; il lavoro di rete tra i servizi del territorio (Servizio LGBT, servizi sociali, centri di salute mentale, SERT), il CIDIGEM (il centro per la transizione di genere dell’Ospedale Molinette), le associazioni LGBT (in particolare il Gruppo transessuali Luna del Circolo Maurice) per la segnalazione delle persone trans da inserire nel progetto; l’attività formativa sulle tematiche LGBT per gli operatori e le operatrici che avrebbero seguito gli inserimenti lavorativi e il seminario finale di sensibilizzazione “Io non discrimino” rivolto al personale dei Centri per l’Impiego e ai/alle rappresentanti delle aziende.
Il fatto che queste misure, oggi, non garantiscano l’accesso al lavoro in termini di formale assunzione, non toglie nulla al loro valore come aumento delle competenze individuali, sviluppo di reti di conoscenze e incremento della propria capacità di relazionarsi con il mondo del lavoro.

Condizioni di lavoro

Con l’espressione ‘condizioni di lavoro’ si intendono tutte le azioni che riguardano il miglioramento delle condizioni lavorative di chi già possiede un lavoro, e prevedono quindi la revisione dei codici etici aziendali, includendo esplicitamente le specificità dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere; la redazione di linee guida inerenti i rapporti sul luogo di lavoro (tra dipendenti, tra dipendenti e datore/datrice di lavoro, tra dipendenti e utenza, tra azienda e fornitori) e di raccomandazioni in merito a come rendere la propria mansione attenta alle diversità che possono essere proprie sia di chi lavora che dell’utenza; le forme di tutela sul luogo di lavoro che includono la collaborazione con i sindacati, le ispezioni nelle aziende, i programmi di lotta alle discriminazioni e le campagne di sensibilizzazione.
Rispetto alle linee guida, segnaliamo in banca dati le proposte dell’associazione trans francese Chrysalide e del Gender Center, associazione australiana per la difesa dei diritti delle persone transessuali.
Per poter attuare in maniera efficace tali politiche è necessario il coinvolgimento delle parti datoriali e sindacali: l’assunzione di responsabilità da parte della dirigenza dell’azienda (o dell’amministrazione pubblica) e la definizione di sanzioni in caso di atteggiamento omofobico o transfobico permettono una maggior visibilità dei lavoratori e delle lavoratrici LGBT e una loro migliore integrazione nel contesto lavorativo.
Un esempio di buona pratica è la pubblicazione “Transgender worker rights” redatta in Gran Bretagna nel 2010 da UNISON, l’organizzazione sindacale del settore pubblico. Nel testo sono presenti una ricognizione della normativa antidiscriminatoria vigente, che ha come obiettivo l’informazione e la sensibilizzazione in tema di non discriminazione delle persone trans; alcune indicazioni utili per tutti/e i datori e le datrici di lavoro nella gestione del rapporto di lavoro con il lavoratore e la lavoratrice transessuale; alcuni paragrafi specificamente dedicati all’uso dei bagni, delle uniformi e degli spogliatoi. Sul sito web del sindacato, inoltre, è a disposizione un modello di accordo tra datore/datrice di lavoro e lavoratore/trice trans e altro materiale utile. In Italia, ALA Milano Onlus e CGIL hanno redatto una brochure simile a quella di UNISON, aggiornata al 2011, che contiene le stesse indicazioni, applicate al contesto italiano.

Formazione e aggiornamento professionale del personale in servizio sulle tematiche dell’identità di genere e delle transessualità

La formazione professionale sul lavoro, chiamata anche aggiornamento, è un’azione positiva mirata allo sviluppo delle competenze del personale al fine di fornire migliori servizi in termini di accoglienza e di risposta professionale ai bisogni di cittadini/e e utenti trans; di progettare servizi e iniziative che prendano in considerazione la presenza di fruitori e fruitrici trans; di creare un clima rispettoso e accogliente nei confronti di colleghe e colleghi trans. Alcuni esempi di guide alla formazione sono state redatte dall’associazione inglese Stonewall: “Sexual Orientation Employers Toolkit” e “Training: Educating staff about lesbian, gay and bisexual equality”.
Affinché la formazione si riveli efficace, le/i partecipanti devono avere la possibilità di esprimere le proprie aspettative in relazione alla proposta, di tararla sulla base delle proprie esigenze e di verificare la coerenza delle metodologie adottate, concludendo sempre l’attività con un momento di autovalutazione e di proposte di implementazione che coinvolgano il personale anche nella progettazione delle azioni future, valorizzando così la competenza acquisita attraverso la formazione. A tale fine, la formazione deve prevedere l’utilizzo di strategie diverse, funzionali allo sviluppo di momenti cognitivi, esperienziali e relazionali, così da facilitare una crescita personale di consapevolezza sui vari aspetti della condizione LGBT a tutti i livelli organizzativi. Una formazione efficace si ottiene non solo attraverso la trasmissione di competenze, ma soprattutto attraverso la capacità dei formatori e delle formatrici di far emergere le perplessità personali e le difficoltà legate alla non conoscenza del tema trattato: spesso tali posizioni possono presentare dei contenuti transfobici, e l’unico modo per superarli é affrontarli in uno spazio di discussione aperto al dialogo e al confronto.

Diversity Management

Il diversity management è una strategia aziendale che ha come obiettivo dichiarato non solo il miglioramento delle condizioni di lavoro, ma soprattutto la gestione delle diversità come risorsa fondamentale di vantaggio competitivo per l’azienda in un contesto di globalizzazione sempre più complesso. Oltre all’aspetto economico, le altre due ragioni per cui le aziende adottano queste politiche sono riconducibili all’ambito etico (rispetto di una condotta etica dell’azienda, solitamente esplicitata nel codico etico e tesa a restituire un’immagine positiva) e a quello normativo (in osservanza delle leggi contro le discriminazioni).
Le aziende che investono nel diversity management in Italia sono soprattutto le multinazionali, le quali hanno da anni già attivato le azioni basilari di integrazione, quali: coinvolgimento dei vertici aziendali nell’attiva di promozione delle diversità; corsi di formazione per dirigenti e dipendenti; identificazione delle tipologie di diversità presenti in azienda; comunicazione delle attività svolte sia all’interno che all’esterno dell’azienda; azioni costanti di controllo sugli episodi di discriminazione, a cui devono corrispondere delle sanzioni certe; monitoraggio e follow up delle azioni implementate; creazione di reti interne all’azienda tra lavoratori e lavoratrici LGBT, fornendo tutto il supporto logistico e tempistico di cui necessitano per portare avanti le proprie azioni.
A livello europeo le pubblicazioni rispetto alle buone prassi attivate in questo ambito sono numerose, per una rassegna delle stesse si rimanda al materiale presente in banca dati: “The business case for diversity”; “Changing for the better”; “Going beyond the law: promoting equality in employment”.
Sul piano nazionale il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio e l’UNAR da alcuni anni promuovono, in collaborazione con altri Enti e Associazioni, progetti mirati sul diversity management. Il primo di questi progetti, attivo dal 2007, è “Diversitalavoro”, realizzato in collaborazione con Fondazione Sodalitas, People e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, e finalizzato a favorire l’incontro delle persone con disabilità, appartenenti alle categorie protette, di origine straniera o transgender, con le aziende che offrono opportunità di lavoro. Due progetti, invece, riguardano nello specifico le Piccole Medie Imprese (PMI) nelle quattro Regioni dell’Obiettivo Convergenza: “Somma Valore” ha l’obiettivo di sensibilizzare tale tipologia di impresa ad un approccio improntato all’integrazione e alla valorizzazione delle diversità nella gestione delle risorse umane; “DiversaMente” si propone di realizzare azioni di diversity management coinvolgendo le persone appartenenti a categorie tradizionalmente discriminate, le PMI, gli Enti pubblici, le Aziende controllate e/o partecipate dalle Regioni e tutti gli stakeholder che si occupano della lotta alla discriminazione, con l’obiettivo di facilitare l’inserimento lavorativo delle persone a rischio di discriminazione. Infine, nel luglio del 2014 è stato lanciato, in collaborazione con Italia Lavoro Spa, “DJ – Diversity on the Job”, un programma sperimentale (finanziato dal Fondo Sociale Europeo e rivolto anch’esso alle quattro Regioni dell’Obiettivo Convergenza) per la promozione dell’inserimento lavorativo di persone fortemente discriminate e svantaggiate. Tale programma, da un lato mira ad avvicinare al mondo del lavoro persone tradizionalmente escluse e, dall’altro, intende stimolare le aziende ad aprirsi al confronto con realtà che spesso non sono prese in considerazione.

Sportelli di orientamento, supporto e tutela legale

Un ultimo ambito di intervento riguarda la creazione di sportelli di orientamento al lavoro, supporto e consulenza legale, spesso aperti sul territorio locale da parte delle associazioni LGBT. Si tratta di spazi aperti al pubblico, in cui le persone vittime di discriminazione sul luogo di lavoro possono trovare tutela legale; in cui i/le inoccupate/i o disoccupate/i possono trovare orientamento alla ricerca del lavoro; a cui le persone già occupate possono rivolgersi per risolvere eventuali problematiche che incontrano sul posto di lavoro. La necessità di tali sportelli si è resa evidente nel corso degli anni, in quanto il personale pubblico impiegato nei Centri per l’Impiego non é sempre adeguatamente formato per rispondere ai bisogni specifici dell’utenza trans: per questo è opportuno avviare specifici percorsi di aggiornamento in collaborazione con le associazioni LGBT del territorio, come ad esempio è avvenuto nella Provincia di Torino nel 2011 all’interno del progetto europeo AHEAD, o come sta avvenendo a livello nazionale grazie alle azioni formative che la Città di Torino, in qualità di Segreteria nazionale della rete RE.A.DY, promuove, in collaborazione con l’UNAR e nell’ambito della Strategia nazionale LGBT, rivolgendosi alle figure dirigenziali dei Servizi per il Lavoro statali, regionali e provinciali.
All’interno della banca dati del Portale, segnaliamo che tutti i servizi di accoglienza trans già presentati all’interno del tema “Identità di genere” forniscono anche supporto in merito alle questioni lavorative: Spo.T Sportello Trans a Torino; SAT Sportello Accoglienza Trans a Verona; Consultorio MIT a Bologna; Consultorio della Salute Ireos a Firenze; Consultorio Transgenere a Torre del Lago (LU); Sportello Trans ALA Milano Onlus; Sportello dell’Associazione Libellula a Roma; inoltre, anche i servizi di sportello attivati da associazioni gay e lesbiche sono spesso competenti per le tematiche inerenti la transessualità. Infine, per maggiori informazioni, segnaliamo lo sportello aperto dall’associazione i Ken in collaborazione con la CGIL di Napoli, lo sportello Milk di Arcigay Napoli, lo sportello legale di DíGayProject a Roma e lo sportello L di Arcilesbica a Bologna. A Milano è inoltre attivo il Servizio Bussola dell’associazione ALA Onlus, che si occupa degli inserimenti lavorativi e/o formativi per persone a rischio di esclusione sociale, e collabora con lo Sportello Trans ALA.

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