Intersessualità – Portale di Informazione Antidiscriminazioni LGBT http://www.portalenazionalelgbt.it identità, diritti, informazione Wed, 18 Jan 2017 11:43:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.7.2 Dallo pseudo-ermafroditismo alla intersessualità fino al DSD: le mille sfumature della medicalizzazione dei corpi intersessuati http://www.portalenazionalelgbt.it/dallo-pseudo-ermafroditismo-alla-intersessualita-fino-al-dsd-le-mille-sfumature-della-medicalizzazione-dei-corpi-intersessuati/ Fri, 01 Aug 2014 08:19:27 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=1406 A cura di Daniela Crocetti, Ph.D. in Science, Technology and Humanities, Università degli Studi di Bologna.

Obiettivo di questo articolo è discutere in chiave socio-storica le modalità con cui è stata interpretata l’esperienza dell’intersessualità nel corso dei secoli prestando particolare attenzione alle connessioni tra le norme sociali sul genere e la sessualità, la medicina e le esperienze delle persone intersex.
Le società occidentali dividono gli individui nelle rigide categorie di maschi e femmine e, a partire dall’appartenenza ‘biologica’ ad una di queste, collocano gli individui nelle altrettanto rigide categorie sociali di uomini e donne, ovvero presumono che esistano solo due sessi e, a partire da essi, solo due generi.
In occidente fino al 1800 questo processo era definito principalmente dagli aspetti somatici del corpo (le caratteristiche secondarie del sesso, quali la presenza del seno nelle donne e della barba negli uomini) e dalla forma dei genitali, ovvero venivano identificati come uomini e come donne coloro che sviluppavano un corpo considerato adeguato ad uno dei due sessi. Gli individui il cui corpo non rispondeva a questa dicotomia maschile/femminile (contemporaneamente biologica e sociale) venivano stigmatizzati. A questo processo di stigmatizzazione si aggiunse – dal tardo medioevo nelle culture europee e, successivamente, in quella del nord America – la criminalizzazione dell’omosessualità e le persone intersessuate vennero discriminate non solo in base alle differenze di genere, ma anche rispetto al loro presunto orientamento sessuale non eterosessuale. A questo proposito, il filosofo Michel Foucault ipotizza che dal 1600 al 1700 nelle società occidentali ci sia stato uno spostamento dalla considerazione del corpo-diverso inteso come mostruoso (contro l’ordine e regole della natura) alla considerazione di ciò che allora chiamavano ermafroditismo come una minaccia di omosessualità.
Sebbene già dal ‘600 ci siano casi di medici interpellati per stabilire ‘il vero sesso’ di una persona, è dal 1800 che emerge una vera e propria ossessione medica sui cosiddetti casi ‘di sesso dubbio’: viene quindi coniato il termine ‘pseudo-ermafrodito’ per indicare coloro che non è possibile indentificare chiaramente come maschi o come femmine in base alle loro caratteristiche fisiche. È in quegli anni, infatti, che la scienza medica scopre le funzioni differenti svolte dalle gonadi (ovaie nelle femmine e testicoli nei maschi) nella riproduzione, ed è da questo momento che esse cominciano ad essere considerate degli indicatori del sesso degli individui. Prima di allora si credeva che la vagina fosse un pene introflesso (e poco sviluppato), e che ovaie e testicoli svolgessero la medesima funzione. I medici allora pensarono di aver scoperto il ‘vero indicatore del sesso biologico degli individui’, laddove la forma dei genitali non corrispondeva al genere che si manifestava in altre parti del corpo.
Sulla base di questo presunto dato, i medici diventano i ‘guardiani’ del sesso legale (ovvero quello riconosciuto dai documenti di identità) e acquistano l’autorità di obbligare una persona ad assumere un’identità di genere piuttosto che un’altra in virtù del sapere medico. È il triste caso di Herculin Barbin raccontato da Michel Foucault, cresciuta femmina col nome di Alexina e morta suicida a 25 anni dopo 4 anni in cui venne obbligata a vivere da uomo in base a quanto stabilito dalle ricerche mediche sul suo conto.
Tuttavia non vi era consenso nella comunità scientifica su come procedere nell’attribuzione del sesso legale nei casi in cui il corpo presentasse elementi sia maschili che femminili. Certi medici insistevano sulla necessità che gli individui assumessero il sesso legale rispecchiato nella loro materia gonadica (ovaie o testicoli) a prescindere dall’aspetto del corpo, dalla forma dei genitali e dall’identità di genere percepita; altri medici, invece, consideravano prioritari gli aspetti sociali, ovvero l’identità di genere ma, soprattutto, l’orientamento sessuale, e insistevano sulla necessità che gli individui assumessero legalmente il genere che li rendeva eterosessuali ovvero il genere opposto rispetto a quello delle persone da cui erano affettivamente ed eroticamente attratte.
All’inizio del ‘900, invece, la medicina scopre ulteriori elementi del corpo che riguardano il sesso biologico come gli ormoni, i cromosomi sessuali e, da questi, anche i marcatori genetici. Il termine ‘intersessuale’, infatti, risale alla ricerca di Richard Goldschmidtpubblicata nel 1917 – sull’effetto degli ormoni nello sviluppo dei tratti sessuali delle farfalle. In questa ricerca Goldschmidt scoprì il ruolo degli ormoni nello sviluppo dei tratti sessuali e ipotizzò che essi giocassero un ruolo anche nei casi in cui gli individui presentavano elementi biologici di entrambi i sessi. Negli anni ’30 il noto endocrinologo ed embriologo Frank Lillie confermò questa teoria sull’impatto degli ormoni nello sviluppo del corpo sessuato, avanzando la tesi che il sesso biologico fosse composto dall’insieme di tutti questi elementi del corpo.
Negli anni ’50 John Money dell’Hopkins Institute negli Stati Uniti attraverso una ricerca sulle cartelle cliniche delle persone da lui ancora chiamate ‘pseudo-ermafroditi’, stabilì che esse non avevano particolari problemi psichici, ma che era necessario modificare (ovvero normalizzare) chirurgicamente i genitali laddove la loro forma o grandezza non corrispondeva in pieno al genere assegnato alla nascita. Negli stessi anni Andrea Prader sviluppa una scala di grandezza (la Prader scale) che codifica per la comunità medica la differenza tra i genitali maschili e quelli femminili.
Money fu una personalità rivoluzionaria per l’epoca, ma allo stesso tempo condizionò in maniera negativa la pratica medica dei decenni a seguire. Da un lato, infatti, egli sottolineò come quello che oggi chiamiamo ‘identità di genere’ sia un fatto sociale, condizionato più dall’ambiente in cui si cresce che dalla biologia. Dall’altro, pero, individuò proprio nella forma ‘normale’ dei genitali (secondo la scala di Prader, appunto) uno dei fattori cruciali per essere socialmente accettati come maschi o come femmine.
A partire da questo assunto diventò prassi intervenire chirurgicamente sui genitali del bambino prima dei tre anni in casi di genitali di grandezza non standard, senza informare i genitori del perché (per non insinuare dubbi rispetto al genere del bambino), spesso in direzione femminile. Dalla fine degli anni ‘90, con la scoperta di sempre più varietà di forme di intersessualità, si é pian piano smesso di assegnare il genere femminile a tutti i casi ambigui, benché gli interventi chirurgici precoci rimangano un problema in quanto questa procedura ha creato dei danni psicologici enormi a coloro che l’hanno subita, violando la loro intima percezione di sé come uomini o come donne e spesso eliminando la loro capacità di raggiungere un orgasmo nell’età adulta. Di questo modello ‘interventista’ fanno parte altre modalità mediche: l’asportazione di ovaie o testicoli per ‘proteggere’ l’identità di genere assegnata, gli spostamenti dell’uretra per agevolare l’urinare in piedi, le terapie ormonali per rinforzare il genere somatico, e così via. Tutte queste tecniche mediche, tuttavia, comportano problematiche e controindicazioni non indifferenti, e rispecchiano più una medicalizzazione di aspetti sociali della vita che non la ricerca di una buona salute fisica.
Negli ultimi decenni del ‘900, con il crescere della consapevolezza rispetto agli interventi non informati, attivisti e pazienti iniziano a problematizzare la prassi medica in vigore sia rispetto alla scala di grandezza standardizzata dei genitali per i bambini, sia rispetto all’urgenza di ‘normalizzare’ la forma dei genitali, reclamando il diritto a partecipare alla scelta dei medici attraverso una reale e ampia informazione.
A partire dagli anni ‘90, il termine ‘intersessualità’, dunque, assume un altro significato: la parola rispecchia le politiche identitarie di genere e la lotta per il riconoscimento dell’esistenza di corpi diversi in un mondo sempre più medicalizzato. Nel 2006 un gruppo di medici, attivisti, pazienti e accademici ha coniato il termine ‘DSD’, acronimo della dicitura inglese Disorders of Sex Development, tradotta in italiano con Disordini della Differenziazione Sessuale. Questo nuovo termine, seppur importante, rimane controverso: da un lato, crea una netta separazione tra gli aspetti sociali e quelli biologici, non medicalizzando più l’orientamento sessuale o i comportamenti di genere non stereotipati; dall’altro, mantiene la stessa cornice normativa e medicalizzante (utilizzando tra altro il termine ‘disordini’) che vorrebbe modificare.
L’introduzione del termine DSD è avvenuta parallelamente ad un nuovo modello di cura centrato sull’individuo (Patient Centered Care Model) che insiste sul consenso informato e sul coinvolgimento dell’individuo/paziente. Questo modello rispecchia un cambiamento pratico che dovrebbe (ma non sempre) posticipare gli interventi ‘normalizzanti’ irreversibili a un età in cui la persona stessa può essere coinvolta nella decisione. A questo viene aggiunto l’importantissimo lavoro di sostegno psicologico ai genitori, per far loro comprendere e amare i propri figli, spostando l’attenzione dalla ‘correzione’ medica della diversità alla sua accettazione sociale.

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Hermaphrodites with Attitude: l’evoluzione dei movimenti e dell’attivismo su intersessualità e DSD http://www.portalenazionalelgbt.it/hermaphrodites-with-attitude-levoluzione-dei-movimenti-e-dellattivismo-su-intersessualita-e-dsd/ Fri, 01 Aug 2014 08:07:05 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=1410 A cura di Daniela Crocetti, Ph.D. in Science, Technology and Humanities, Università degli Studi di Bologna.

Nel 1993 la biologa femminista Anne Fausto-Sterling pubblicò un articolo su “The Sciences” (dal titolo “I cinque sessi”) in cui svelava al grande pubblico statunitense ‘l’esistenza’ dell’intersessualità. In risposta, Cheryl Chase, una donna intersessuale, scrisse una lettera a “The Sciences” annunciando la fondazione della Intersex Society of North America (ISNA), ovvero la prima associazione di persone intersessuate del Nord America. Numerose persone lessero sia l’articolo che la lettera e cominciarono a scrivere a Chase, dando così vita alla fine dello stesso anno all’ISNA.

Chase decise di fondare l’associazione a partire dalla propria esperienza personale: la riassegnazione di sesso durante l’infanzia, la vergogna indotta dalla medicalizzazione, il disinteresse da parte dei medici rispetto a ciò che le era successo. La scintilla che innescò l’idea – racconta Chase – fu la partecipazione nel 1993 ad un incontro organizzato dai membri di Transgender Nation in cui donne transgender operate si scambiavano storie e godevano della libertà di nuotare e prendere il sole nude. Quell’esperienza fu talmente positiva per Chase che tornò a casa determinata a trasmettere il significato liberatorio di questa azione alle persone intersessuate: era possibile, infatti, superare il sentimento di rifiuto e di vergogna per il proprio corpo medicalizzato e per la propria storia.

Nel 1994 nasce “Hermaphrodites with Attitude”, ovvero un forum e una rivista omonima gestiti dall’associazione ISNA. Se agli inizi questo spazio di confronto aveva soprattutto la funzione di gruppo di sostegno, presto si trasformò in un gruppo attivista: i suoi membri – che condividevano storie simili di medicalizzazione e che provenivano dal femminismo o dalla politica queer – iniziarono a criticare le modalità con cui l’intersessualità era stata inutilmente patologizzata dal punto di vista sociale e medico. In un primo tempo, le critiche mosse da ISNA erano riconosciute come legittime da pochissimi medici: molti, infatti, si nascondevano dietro l’efficacia del protocollo di cura, definendolo come necessario, anche al punto di sostenere attivamente la scelta di mentire ai pazienti rispetto alle loro storie mediche.

Per portare avanti la propria causa ISNA cominciò a tessere delle reti di supporto e confronto con altri gruppi: in primo luogo con gruppi del movimento trans con cui manifestarono nel corso di convegni medici per richiedere che tutti gli interventi chirurgici sui genitali venissero posticipati all’età del consenso e, soprattutto, che la persona ne venisse correttamente informata. Successivamente ISNA ampliò la propria rete di contatti ed interlocutori, sia nel mondo accademico che, gradualmente, nel mondo medico. Per perorare la propria causa ISNA sottolineò da subito la similitudine tra le mutilazioni genitali femminili (MGF) e gli interventi chirurgici fatti su certe sindromi intersessuali poiché entrambi miravano a far aderire il corpo ad un standard sociale e, allo stesso tempo, negavano il raggiungimento del piacere sessuale al soggetto femminile.
Nel corso degli anni ISNA si concentrò sempre più sulla pratica medica, sollecitando un cambiamento del protocollo di cura. Il gruppo che ne prese l’eredità da quando ISNA concluse le proprie attività nel 2007, The Accord Alliance, infatti lavora in stretta collaborazione con medici e accademici. Numerose altre associazioni nate successivamente, invece, lavorano sul fronte informativo (Intersex Initiative), dei diritti umani (Advocates for Informed Choice), della militanza (OII), o semplicemente come gruppo di sostegno rispetto alle esperienze individuali.

Sebbene ISNA sia stata la prima associazione politicizzata e militante che ha lavorato per i diritti delle persone intersessuali con lo scopo di destabilizzare la visione eteronormativa alla base della violenza sui corpi intersessuati, già negli anni ’80 erano presenti alcuni gruppi di sostegno, ciascuno dei quali impegnato su una sindrome precisa. Il gruppo di sostegno americano, Turner’s Syndrome Society, che comprende parenti e persone con la sindrome di Turner (che provoca la presenza del solo cromosoma di sesso X), venne fondato nel 1987. L’anno successivo in Gran Bretagna una madre costituì il primo gruppo per la sindrome di insensibilità agli androgeni (AIS) in cui i cromosomi cosiddetti maschili, XY, portano ad un sviluppo corporeo femminile, ma con le gonadi interne maschili. Nel 1989 un’altra madre fondò un gruppo per la sindrome di Klinefelter, una delle sindromi più frequenti (1 caso ogni 7.000 nascite), in cui è presente un terzo cromosoma sessuale (XXY).

La storia dell’attivismo italiano nell’ambito dell’intersessualità ha seguito una strada ibrida (tra sostegno alle persone e attivismo politico) rispetto agli scenari appena descritti. Klinefelter Italia Onlus (KIO) è stata fondata nel 2004 e ad oggi ci sono numerosi gruppi Klinefelter che operano a livello locale. KIO agisce per la maggior parte come gruppo di sostegno, fornendo momenti di incontro e d’informazione, ma lotta anche contro la disinformazione medica e per una ricerca maggiormente approfondita rispetto alla salute delle persone intersessuate. Inoltre, le persone con sindrome di Klinefelter, molto spesso uomini eterosessuali, sono sovente bersaglio di discriminazioni a sfondo omofobico poiché portatori di caratteristiche considerate ‘femminili’: per questa ragione l’associazione ha un’esplicita vocazione contro l’omofobia e gli stereotipi legati al genere e all’orientamento sessuale.
AISIA (Associazione Italiana Sindrome da Insensibilità agli Androgeni) è nata nel 2006, a partire da un piccolo gruppo di persone con la Sindrome da Insensibilità agli Androgeni (AIS) e dai loro genitori che si costituisce in associazione e inaugura la propria vita associativa prendendo parte all’ “International Meeting on Anomalies of Sex Differentiation”. Il gruppo si occupa principalmente di AIS, ma non è rivolto solo alle persone con questa sindrome ed ha la volontà di accogliere persone intersessuate ed i loro parenti indipendentemente dal tipo di sindrome. Sin dall’inizio AISIA si è mossa su diversi fronti, frequentando tutti i convegni medici sull’argomento, cercando interlocutori nel mondo medico, organizzando eventi di scambio e incontro tra membri e stakeholder, fornendo servizi di screening gratuiti sia rispetto alla terapia ormonale che alla diagnosi. AISIA ha anche avviato una collaborazione con diversi psicologi italiani e inglesi che promuovono sia la comunicazione completa della diagnosi sia una maggiore attenzione alla sessualità femminile, fondando un comitato scientifico per agevolare la comunicazione tra il gruppo e i medici di riferimento. La partecipazione di AISIA ai convegni medici è finalizzata a sensibilizzare rispetto alla perdurante mancanza di consenso informato e alle pesanti conseguenze degli interventi chirurgici non consensuali.
Infine nel 2013 è nato Intersexioni, un gruppo attivista composto anche da persone intersessuate. Il collettivo Intersexioni lavora su diversi fronti: non solo sull’intersessualità, ma anche sul sessismo, il razzismo, la violenza di genere, il bullismo e l’omo-transfobia, considerando l’eteronormatività come lo scenario di fondo di tutti questi fenomeni, con l’obiettivo di sviluppare azioni inclusive di ampio respiro.
Proprio a partire da un principio di inclusione e trasversalità delle rivendicazioni legate al genere e alla sessualità, oggi la lettera ‘I’, che sta a indicare le persone intersessuate, viene inclusa nell’acronimo ‘LGBT’ che indica il movimento lesbico, gay, bisessuale e transgender, con lo scopo di sottolineare gli obiettivi comuni di critica e messa in discussione dell’eteronormatività e della dualità dei sessi espresse dalla cultura occidentale e contribuire a sostenere le rivendicazioni specifiche del movimento intersessuale.

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Le rappresentazioni dell’intersessualità: tra visibilità e stereotipi nella letteratura http://www.portalenazionalelgbt.it/le-rappresentazioni-dellintersessualita-tra-visibilita-e-stereotipi/ Fri, 01 Aug 2014 07:50:44 +0000 http://www.portalenazionalelgbt.it/?p=1408 A cura di Daniela Crocetti, Ph.D. in Science, Technology and Humanities, Università degli Studi di Bologna.

Obiettivo di questo articolo è esplorare come la produzione culturale racconta l’intersessualità e discutere alcuni degli stereotipi e pregiudizi su questa esperienza a partire da due romanzi sul tema reperibili in italiano: “Middlesex” e “Golden Boy”.

“Middlesex” dello scrittore statunitense Jeffrey Eugenides è il primo romanzo in lingua italiana che parla di intersessualità ed è stato pubblicato nel 2003. È una saga familiare che segue le vicende della famiglia Stephanides tra la Grecia – da cui negli anni ’20 del ‘900 fuggono i fratelli Letfy e Desdemona – e gli Stati Uniti – dove i due decidono di stabilirsi e, infrangendo divieti consolidati, di sposarsi.
La protagonista del libro è Cal – nipote dei due – a cui in adolescenza viene diagnosticato il deficit di 5α-reduttasi ovvero una sindrome per la quale il corpo – nonostante siano presenti cromosomi cosiddetti maschili XY – si sviluppa in maniera ‘femminile’ a causa dell’assenza dell’enzima che converte il testosterone nella sua forma ‘attiva’, il DHT (Diidrotestosterone). La diagnosi di intersessualità diventa il motore narrativo per esplorare il percorso di crescita di Cal attraverso gli stereotipi omofobi e di genere presenti nella società occidentale e per offrire un affresco familiare dove l’affetto fatica a vincere sui pregiudizi e sulla vergogna. Cal, come molte persone intersessuate nella realtà, è oggetto di molteplici esami medici e viene spinta – dai medici e dai genitori – a sottoporsi ad interventi chirurgici e terapie per ‘normalizzare’ il suo corpo ‘da donna’ poiché questa sindrome può portare – con l’aumento del livello ormonale durante la pubertà – ad una ‘mascolinizzazione’ dei tratti somatici. La strada scelta dalla protagonista, però, è opposta: rifiutare la medicalizzazione e iniziare un viaggio – metaforico e reale – alla ricerca di sé mettendo in discussione – talvolta molto faticosamente – le dicotomie tra sesso e genere e ricostruendo la sua genealogia familiare.
“Middlesex” e’ una bella saga familiare, che introduce il tema dei traumi provocati dalla mancata comunicazione tra medici, genitori e figli e l’assenza di autodeterminazione delle persone intersex. Il libro, tuttavia, contiene anche alcuni stereotipi di cui è bene essere consapevoli per comprendere al meglio questa esperienza. In primo luogo la diagnosi di Cal viene collegata alla consanguineità dei nonni: sebbene sia in parte vero che la consanguineità può essere un fattore di rischio, questo non rispecchia le esperienze della stragrande maggioranza delle persone intersex e delle loro famiglie e rischia di riprodurre uno stigma sociale che non ha fondamento. In secondo luogo, la transizione della protagonista da un’identità di genere femminile ad una maschile e la sua relazione con un’amica viene descritta come la scoperta della ‘sua vera natura biologica’ perdendo l’occasione di raccontare la complessità di relazioni che possono esservi tra identità, corpo biologico e orientamento sessuale. La confusione tra orientamento sessuale e identità di genere, infatti, ha oscurato a lungo i reali desideri delle persone intersessuate. Laddove, infatti, una persona, diagnosticata con una qualche forma di intersessualità, dimostri un orientamento omosessuale si mette in discussione la sua identità di genere senza consultarne il parere. Se, dunque, come nel caso della protagonista del romanzo, alcune persone possono decidere di identificarsi con il genere opposto a quello con cui sono state cresciute, altre vorrebbero mantenere l’identità di genere assegnata loro alla nascita, anche quando si sentono attratte da persone del loro sesso.

Dieci anni dopo “Middlesex”, nel 2014 è stato pubblicato “Golden Boy” dell’esordiente Abigail Tarttelin. “Golden Boy” racconta la storia di Max adolescente ‘d’oro’ – gentile, corteggiato dalle ragazze, eccellente a scuola, ottimo calciatore – e della sua famiglia – borghese e progressista – alle prese con una diagnosi d’intersessualità. Diversamente da “Middlesex”, però, la diagnosi non arriva in adolescenza, ma alla nascita e il comportamento dei genitori non è di medicalizzazione, ma di accoglienza della diversità di cui il figlio è portatore. Nonostante queste premesse positive, però, a complicare il quadro (e forse a renderlo più realistico) ci sono l’ingresso in adolescenza di Max, e tutto quello che ciò comporta in termini di esplorazione di sé e dei rapporti (anche erotici ed affettivi) con gli altri, e la campagna elettorale del padre per la quale ‘il segreto’ di Max deve rimanere tale per evitare la vergogna e la stigmatizzazione sociale. Alcuni fatti drammatici, però, obbligheranno tutti a fare i conti con questa esperienza e a rompere il silenzio.
Da un lato, l’autrice racconta con acume e tatto come la vergogna nata dalla stigmatizzazione della propria diversità possa portare una persona a subire violenze (fisiche e psicologiche) e, soprattutto, a sentirsi colpevole delle violenze subite. Come ci hanno insegnato moltissimi attivisti intersex, infatti, l’idea che l’intersessualità sia qualcosa di cui vergognarsi e che deve essere nascosta ad ogni costo è la cosa che provoca i traumi maggiori: è la stigmatizzazione sociale sulla diversità a creare sofferenze e non la diversità del proprio corpo. Dall’altro, però, proprio per la scelta di utilizzare un fatto estremamente drammatico (in questo caso una violenza sessuale) per dare il via al percorso di riflessione su di sé di Max e dei suoi familiari, si corre il rischio di perpetrare degli stereotipi sulle persone intersex, annoverando le loro esperienze di vita sempre e comunque nell’ambito del drammatico senza lasciare spazio per narrazioni meno sensazionali e appetibili dal punto di vista letterario, ma forse più veritiere.
E’ però pregevole che l’autrice racconti le esplorazioni identitarie del protagonista senza necessariamente fare riferimento alla ‘fluidità di genere’ (il cosiddetto ‘continuum’ tra maschile e femminile): in alcuni casi, infatti, la narrativa ha raccontato l’esperienza dell’intersessualità collegandola ad un’attitudine genderqueer ovvero un’identità o un comportamento di genere fluido tra maschile e femminile che invece non corrisponde necessariamente a come si sentono le persone intersex.
In questo senso la letteratura può essere un buon strumento per creare immaginario, rompere il silenzio e sfidare la vergogna attorno all’esperienza dell’intersessualità. Allo stesso modo, però, a fronte di un’esperienza poco conosciuta come quella dell’intersessualità, l’immaginazione letteraria può creare dei fraintendimenti rispetto alle reali esperienze delle persone intersex: questo articolo vuole essere una bussola per orientarsi tra questi due aspetti.

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